Quanti
invero ebbero la sorte di conoscere intimamente il padre Catanoso
e di studiarne quindi il carattere, non durarono certamente
fatica ad accorgersi che sotto le sembianze di un uomo adulto,
portato per vocazione ai rigori della penitenza e dell’austerità
e sempre accompagnato da un grave ma illuminante pensiero
di compatimento delle miserie e delle debolezze umane, si
nascondeva una psicologia che gli conferiva i tratti propri
del bambino.
Il padre Basilio Guzzo, nel menzionato opuscolo, probabilmente
senza volerlo, non fece che confermare questo assunto, cioè
che il servo di Dio Gaetano Catanoso, sia pure in campo diverso
e con ministeri essenzialmente distinti da quelli della giovane
carmelitana di Lisieux, mentre costantemente procurò
di effondere la sua commovente pietà verso l’«Uomo
dei dolori», il «giusto Servo» di Dio «trafitto
per i nostri delitti», incamminato sulla via della suprema
prova giustificatrice, della dottrina circa l’infanzia
spirituale, in modo singolare applicata da Teresa di Lisieux
e radicata nel Vangelo, fu edificante interprete e straordinario
maestro.
Spesse volte infatti nelle pagine dell’opuscolo del
padre Guzzo si legge — come d’altronde quanti
ebbero rapporti con lui si poterono facilmente accorgere —
che il suo comportamento preferito era quello di un bambino.
Anzi, a proposito del suo «totale abbandono in Dio»,
dopo la nota che «in questo, sembrava un bambino che
crede e si fida ciecamente del papà suo», si
osserva non senza una interiore ammirazione: «Bambino!
fu e si mantenne tale fino alla morte. Semplice, buono, senza
malizia, incapace di giudicare male, di offendere chiunque».
E in particolare: «Anche lo sguardo era quello di un
bambino! Oh! i suoi occhi, il suo sorriso luminoso, non erano
di questa terra!». Queste ed altre, molte — ahimé!
—, troppo rapide e sintetiche enunciazioni dello zelante
religioso, pur rammentando evidentemente che l’atmosfera
entro la quale il servo di Dio visse e condusse a compimento
la sua missione salvatrice, era l’atmosfera dell’infanzia
spirituale, non permettono tuttavia di scendere nel cenacolo
della sua anima per cogliere almeno talune delle linee principali
della sua personalità interiore soprannaturale, di
fissarne un certo profilo spirituale e di stabilire così
quale posto sia da assegnargli nella comunità degli
eletti. A questo scopo sembra venire incontro la madre Agnese
di Gesù, allorché, durante la sua deposizione
al processo apostolico di beatificazione e canonizzazione
della sorella, con ponderata diligenza, rivela che la piccola
via dell’infanzia spirituale «è semplicemente
una via di umiltà che riveste un carattere speciale
di abbandono e di fiducia in Dio, che richiama alla memoria
ciò che si vede nei bambini più piccoli i quali
sono di per sé dipendenti, poveri e semplici in tutto».
Ora chi non sa che fu proprio la virtù fondamentale
dell’umiltà che soprattutto contraddistinse la
figura e l’opera del servo di Dio Gaetano Catanoso,
conferendogli una sua propria identità ed una sua propria
fisionomia fino a diventarne la sua seconda natura?
La virtù dell’umiltà infatti di questo
«perfectus homo Dei» (2 Tm3, 17), che, secondo
i maestri di spirito, estende la sua sfera d’influenza
a tutta la vita interiore soprannaturale e, per una sua duplice
qualità primaria, nell’ordine intellettuale s’identifica
con la verità, e in quello morale con la giustizia,
fece sì ch’egli si sia potuto indeclinabilmente
mantenere al proprio posto, consapevole e beato della grandezza
del proprio «nulla» a confronto di quella infinita
del Creatore. Altre virtù fondamentali, di cui rifulse
l’infanzia spirituale del padre Catanoso, che trovano
appunto analogia e risonanza nelle prerogative proprie del
bambino, sono la fede e la carità. Per ben comprendere
la potenza fascinatrice e l’incommensurabile vastità
della sua fede, per sé basterebbe riflettere sulla
pagina della lettera agli Ebrei (c. 11), nella quale l’apostolo
Paolo, dopo aver rievocato le più strepitose gesta
del popolo eletto, tesse l’encomio più alto della
virtù della fede, per la quale era stato possibile
realizzare le gesta medesime.
È superfluo, d’altro canto, ricordare che tutta
la storia della salvezza ha nella fede il suo primo cardine
sostanziale. Astraendo i caratteri della natura del bambino
che per se stessi contraddistinguono il suo abbandono e la
sua fiducia nei propri genitori, e trasferendoli nell’ordine
della grazia, è facile discernere la fede che fu propria
dell’infanzia spirituale del servo di Dio Gaetano Catanoso,
e che, come si può desumere dai particolari della sua
straordinaria avventura temporale, fu una fede totale, cieca,
indefettibile e rivestita di splendente candore. A proposito
della carità che alimentò la vita interiore,
animò e sostenne le incessanti, sorprendenti iniziative
del moderno annunciatore del mistero della salvezza, sarà
sufficiente, come pare, per individuare la sua specifica qualificazione,
considerare che il bambino, come tale, rappresenta la più
sublime e commovente immagine di Dio, e che Dio stesso, secondo
la rivelazione dell’evangelista Giovanni, è,
nella sua insondabile trascendenza, carità.
Fu pertanto naturale che il tipico figlio della Chiesa reggina,
non diversamente dall’apostolo prediletto di Cristo
Signore, nell’evocare un simile pensiero, si sentisse
il cuore traboccare di gioia, e insieme bruciare d’insaziabile
fervore nel ricercare, in ogni istante della sua esistenza,
l’instaurazione del Regno di Cristo e di Dio sulla terra.
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