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di Franco Vallone
È la tradizionale festa del re Carnevale che si svolge annualmente a San Costantino di Briatico, una festa “grassa” che anticamente veniva intensamente vissuta come momento di aggregazione e rappresentava la vera festa popolare.
Era la festa senza alcun limite di espressione, era libertà assoluta, il luogo e il tempo del ridere, della follia e dello scherzo, ma anche del capovolgimento delle cose, dell’esternazione della materialità e dell’abbondanza alimentare. A Carnevale ogni gerarchia viene sovvertita, tutto diviene lecito, cadono i tabù ed i rapporti divengono disinibiti, superando i freni inibitori imposti dalle convenzioni sociali e le barriere culturali create da differenze di classe e di sesso.
Il singolo diventa comunità, si spoglia della sua individualità per fondersi e confondersi nel vortice della festa che attraverso il mascheramento, la grassa carne di maiale, il vino rosso, la danza, la musica, il lamento rituale e i fumi piccanti del peperoncino, permettono di liberarsi, di annullarsi per ritrovarsi tutti assieme a condividere una emozione comune che esula dalla sfera del quotidiano.
Anche a San Costantino di Briatico, a Carnevale, tutto il popolo era in piazza per costituire un allegro corteo funebre che accompagnava le spoglie di Re Vincenzo, rappresentato da un pupazzo di stoffa, cenci e paglia. Oggi, ancora una volta, si rivive l’atmosfera dell’antico Carnevale per come è stato tramandato e recuperato.
Come spiega il presidente dell’Associazione Culturale Eleutherìa, Stefania Aprile, “si risvegliano dopo un lungo letargo durato più di sessanta anni i vari personaggi della storia di Carnevale. Riprendono vita i becchini che trasportano “‘u catalettu” su cui è adagiato Carnevale seguito da tutta la folla che simula pianti grotteschi (cuvali); il prete che recita in latino maccheronico e incensa con fumo di polvere di peperoncino ed incenso; la moglie di Carnevale, Corajisima, vedova inconsolabile e la figlia rientrata per l’occasione dal convento. Circondano la bara i membri della confraternita vestiti di bianco. Personaggio non di secondo piano è il medico”.
Il rito quest’anno si arricchisce della messa in scena della farsa “U processu a Carnalavari”, liberamente tratta dal poemetto in vernacolo del 1930 dal titolo “Discurzu a carnalavari”. Con il recupero della tradizione del Carnevale si vuole anche rendere omaggio alla memoria di Grazioso Garrì, autore del poemetto curato dal figlio Giuseppe Garrì.
“Oggi – scrive il Garrì – a distanza di poco più di mezzo secolo, poco o nulla rimane di quel mondo arcaico che improntò la vita quotidiana delle generazioni passate. Non senza rimpianto dobbiamo prendere atto che è definitivamente tramontata un’epoca. Un’epoca fatta per molti versi di privazioni e di stenti, ma anche di appartenenza e di aggregazione che aveva lo straordinario potere di animare la vita di un villaggio e di dare un senso alla grama quotidianità. L’evoluzione dei tempi ci ha fatto conoscere un relativo benessere materiale, ma nello stesso tempo ha cancellato tradizioni e costumi che avevano un’intrinseca valenza umana e culturale di cui tutti avvertiamo oggi la mancanza, ma che forse non riusciremo più a far rivivere”.
Il programma 2011 della manifestazione, organizzata dall’Associazione Culturale Eleutherìa e dalla Comunità di San Costantino, con il patrocinio del Comune di Briatico, prevede per martedì 8 marzo, alle ore 19.00 il “Processu a Carnalavari”, alle 20.00 il corteo funebre goliardico, alle ore 21.00 l’incendio del fantoccio carnascialesco e successivamente, a chiusura del rituale, il cosiddetto “ricunzulo”, con salsicce, vino e tarantelle per tutti.
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