Questo post é stato letto 32030 volte!
Di Franco Vallone
Si chiama Rita La Gamba la vibonese che venne scelta dal regista torinese Virgilio Sabel come attrice protagonista di uno degli episodi di “In Italia si chiama amore”. Rita La Gamba la rintracciamo grazie a Piero Monterosso e Nazareno Congestrì che dirigono “Vibo Vagando”, oggi vive a Trieste, all’epoca abitava a Vibo con la sua famiglia, nei pressi della vecchia caserma dei carabinieri, in via Edmondo De Amicis.
“Sabel era a piedi,– ci racconta La Gamba– camminava lungo la strada in salita che porta al convento di Sant’Antonio”. La giovane Rita, che era in compagnia di alcune vicine di casa intente nella preparazione delle bottiglie di pomodoro, si sentì osservata in modo insistente dal regista che l’aveva notata. “Ero fuori casa, avevo i capelli raccolti ed i miei sedici anni, questo signore mi guardava in modo fisso e insistente, poi si avvicinò e mi disse: signorina non abbia paura, sono il regista Virgilio Sabel e sto cercando un viso come il suo per un film, ho girato tutta la Calabria”. Era l’estate del 1960 e il regista Sabel, a fine agosto, andava in giro a Vibo Città, nei paesi, nelle campagne e nelle marine del circondario con i suoi collaboratori e assistenti di produzione per cercare le facce giuste, i volti più interessanti, le figure e le comparse da utilizzare nel film, attori non professionisti presi sul campo tra gente comune, pescatori, contadini e popolani. “Io ero emozionata, dissi che ero minorenne, di parlare con i miei genitori e con il mio fidanzato, Gaetano La Bella, sottufficiale presso le Carceri di Trieste. Sabel prese contatti con mio padre e mia madre, tramite il sindaco di Vibo, Antonino Murmura, riuscì a convincere il mio fidanzato che era gelosissimo, a garantire che nella scena non ci sarebbero stati uomini. Arrivato anche l’ok del fidanzato, Sabel mi riunì con i miei genitori in un locale vicino casa, mi diede cinquantamila lire e mi fece comprare una maglia ed una gonna nera per le esigenze di scena, tutto il vicinato era in subbuglio ad osservare incuriositi, non riuscivano a capire cosa stava accadendo alla figlia di donna Liberata”. Poi il copione ed il luogo delle riprese, una camera da letto dell’ultimo piano dell’Hotel Risorgimento. L’episodio racconta di una giovane donna rimasta vedova dopo solo due giorni di matrimonio, di un marito che non riesce a consumare durante la prima notte di nozze e che si lancia dal balcone dell’albergo.
Rita La Gamba recita, dimostra bene di saper essere attrice tanto da essere invitata dai collaboratori del regista per altri film. Il suo fidanzato non è d’accordo e strappa gli indirizzi lasciati dal regista. Rita sceglie di sposarsi con il gelosissimo Gaetano, di avere una famiglia, ed oggi ha tre figli, un maschio e due femmine, e vive a Trieste. Il film uscì nelle sale cinematografiche italiane il 29 marzo del 1963, distribuito da Cineriz. Nello stesso anno il film venne proiettato al cinema Valentini di Vibo Valentia ed a Trieste con la presenza in sala di Rita La Gamba, ma anche nel resto d’Italia e in Argentina con il titolo “En Italia lo llaman amor”. E’ un film drammatico, del genere documentario, una vera e propria inchiesta che racconta delle vicende dell’amore della provincia italiana, un curioso itinerario nel costume amoroso nazionale tra innamoramento, corteggiamento e amore, che affronta anche le tematiche del matrimonio, della gelosia, del tradimento e dell’amore non corrisposto.
Il film è tratto da un’inchiesta giornalistica di cronaca di Italo Dragonesi pubblicata in un volume per le edizioni Aro di Roma. Voce commento fuori campo di questo film è l’attore Nino Manfredi, allora ancora sconosciuto al grande pubblico. Il film, suddiviso in episodi, prodotto da Mario Mariani per Cinex, vietato allora ai minori di quattordici anni, dura ben 105 minuti ed è stato girato tra il 1960 e il 1961 in varie zone d’Italia. La scenografia del film è di Giorgio Giovannini, la splendida fotografia di Oberdan Troiani e il montaggio di Jolanda Benvenuti. Il sottofondo musicale del film è di Armando Trovajoli. Il regista era nato in Piemonte, a Torino, nel 1920. Verso la fine degli anni Cinquanta, innamoratosi del paesaggio di Ricadi, fece costruire una casa, ristrutturando una tipica pagghialora, sul promontorio di Capo Vaticano, trasferendovi anche la residenza. Da lì il “torinese”, come veniva chiamato, continuò la sua attività di regista e sceneggiatore. L’amore per questi luoghi incantevoli, a strapiombo sul mare, Sabel lo manifestò fino alla fine dei suoi giorni. Infatti, quando il 7 luglio del 1989 morì, venne sepolto nel piccolo cimitero di San Nicolò di Ricadi, accanto alla tomba dello scrittore Giuseppe Berto. Sabel frequentava ed amava la zona di Capo Vaticano, la casa dell’amico Berto e la baracca di Reginaldo D’Agostino. Deve essere rimasto davvero colpito da questo luogo così pieno di luce, e sapendo benissimo di poter prendere da quei fantastici colori solo un chiaroscuro in bianco e nero, lo arricchì con tantissime sfumature e tonalità, piene di quella luce speciale che solo il Sud sa dare! Proprio con quella straordinaria e prorompente luce, con quel chiaroscuro, Sabel dichiarò il suo grande amore per la Calabria.
Questo post é stato letto 32030 volte!