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Ecco la lettera che Dalila Nesci, deputata del movimento 5 Stelle, ha inviato al Presidente della Repubblica e al Ministro del Lavoro:
“Come deputato vi riporto la cronaca di un viaggio a sud del Sud, dove la mafia fa notizia solo se dice con i suoi riti, le armi e i rumori della morte. Per un errore di fondo, a volte perfino alimentato, ci sembra che essa si limiti a risiedere nel suo covo per organizzare traffici di droga, gestire pizzo, usura e commerci legali. La mafia, di là dalla repressione di Stato, è un sistema che crea povertà e disperazione; poi recluta negli angoli di sofferenza manovali e conniventi. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Ciononostante, questo fondamento della Costituzione rimane incompiuto, soprattutto al Sud. Pertanto urgono interventi delle istituzioni più alte. In Calabria permangono gravi ostacoli all’eguaglianza dei cittadini. Il rischio è lo spopolamento, anche molto rapido, provocato dalla forza criminale. Vogliate accogliere questo mio modo di scrivervi, che muove dalla parola, del racconto obiettivo. Di conseguenza, vogliate incontrare una delegazione dei lavoratori di cui al seguente racconto. Vi ringrazio in anticipo e vi porgo i migliori saluti. Italcementi, Vibo Valentia, sabato 6 luglio 2013. Un silo di 90 metri annuncia il cementificio, 73 anni di età. Ottantadue i dipendenti, una sessantina i cassintegrati, gli altri hanno cercato fortuna altrove. Chi è rimasto riceverà 846 euro al mese sino a dicembre 2014. Poi nulla, famiglie, figli, vita scombinata. Ai cancelli c’è un’urna di cartone per lasciare le schede elettorali, simbolo di una delusione che sale. Il silenzio logora le cose, la produzione è ferma. La tristezza sparsa proietta una fine lenta e perciò crudele. Un’agonia senza rimedi né sollievi, almeno per ora. È la fotografia di un pezzo di Sud divorato da politica e affarismo criminale; a volte coincidenti, altre sodali. La montagna di fronte ha una fila di case a quattro, cinque piani, prova di una cementificazione bulimica e rovinosa. La costa sul mare blu è stata mangiata dall’alluvione e dal disastro dell’immobilismo. Lungo il litorale, in direzione Gioia Tauro, le ‘ndrine hanno costruito alberghi, villaggi e traffici portuali. «Sviluppo» è la parola magica per incassare finanziamenti, devastare l’ambiente e disoccupare centinaia di persone, privandole di libertà e diritti. La delegazione Cinque Stelle arriva con un po’ di ritardo alla Italcementi di Vibo. L’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria è un’incognita permanente. Inoltre, per raggiungere l’aeroporto di Lamezia Terme c’è solo Alitalia, che impone orari e prezzi. A tagliare molti treni ha pensato Ferrovie dello Stato, nel beneplacito generale. Con il deputato Paolo Parentela e la sottoscritta ci sono gli attivisti di Vibo Valentia e i capigruppo di Camera e Senato, Riccardo Nuti e Nicola Morra. Gli operai ci vengono incontro, affiancati da colleghi dell’Eni, venuti a solidarizzare e a raccontare la loro vicenda: l’azienda vuole investire in sicurezza e risorse umane, ma politici e burocrati stanno bloccando il progetto. Fa caldo, il sole è alto. Picchia su tutto e alimenta lo scirocco, mentre la polvere sembra saldata sugli impianti, fissa come le maestranze in cima al silo, che non abbassano la guardia. Sono lì da giorni, gridano all’Italia dell’abbandono dello Stato: in zona comandano boss di palazzo o di locale, esperti a mentire, agganciare chi conta, riparare nelle giuste fratellanze. Dalla Italcementi si vede il mondo, racchiuso nei contrasti del paesaggio davanti allo sguardo. Gli operai resistono con bottiglie di tè raffreddate in un secchio di ghiaccio. Si chiamano Giovanni, Federico, Emanuele, Francesco, Domenico, Giuseppe, Salvatore, Pasquale, Giacomo, Nicola, Mario. Raccontano, esprimono il loro disagio, la loro ansia, la disperazione più amara. Sanno che la loro voce ha senso e un’estensione: dice di un’intera provincia condannata allo scioglimento di tanti comuni per fatti di mafia, di un antistato che governa la società e si sostituisce finanche ai ministri del culto, nella guida delle coscienze. La voce degli operai Italcementi dice, ancora, di un’antica rassegnazione morale e culturale che non può reggere, semplicemente perché non c’è più verso di sopravvivere in questo lembo di Calabria. Manca il lavoro. Per ultimo, la voce degli operai denuncia una politica che finora non ha avuto un progetto sullo sviluppo del territorio; una politica che ha permesso speculazioni e investimenti senza futuro, senza rispetto per l’ambiente e la bellezza dei luoghi. Noi Cinque Stelle abbiamo deciso, dunque, di riunire tutti, istituzioni, lavoratori e azienda, per individuare in tempi rapidi una soluzione reale, unitaria, che permetta a Vibo Valentia e provincia di uscire dal baratro della disoccupazione, causa di miseria e ‘ndrangheta.”
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