Berlino è una città sempre
nuova, in continuo cambiamento e in costante maturazione, è
una città in cui, secondo le parole del filosofo Ernest
Bloch, "nemmeno il cemento fa presa".
Allo stesso tempo Berlino è un luogo carico di responsabilità,
dove si è decisa la storia della Germania e dell'Europa
intera, è un luogo volutamente privo di un'identità
precisa, sempre fluttuante tra provincialismo e smania di internazionalità.
Come nessun'altra città europea, Berlino è diventata
in questo secolo un vero "mito", proprio cambiando
così spesso nella storia la propria immagine: dalla metropoli
degli anni '20 alla capitale mondiale della Germania di Hitler,
dai cumuli di macerie del Reich a città di frontiera
della guerra fredda, da centro delle contestazioni del '68 a
Eldorado della sottocultura, dalla città divisa dal muro
a un crogiolo di razze e di diversi modi di vivere. Non esiste un centro di Berlino, non esiste un quartiere uguale
ad un altro né un berlinese tipo. Ci sono moltissimi spazi per la cultura e altrettanti per il
divertimento, Berlino è una città che si può
sfruttare 24 ore su 24, adatta per tutti i gusti e per tutte
le tendenze, continua fonte d'ispirazione per gli artisti e
di sogni per la gente comune. La città, però,
è rimasta segnata del lungo periodo di divisione interna,
ed ora molti cittadini, che hanno lottato per l’unità,
non riescono a creare una popolazione compatta…
Storia
Giugno 1948 - Il dittatore sovietico, bloccando
strade e ferrovie, tenta di isolare il settore occidentale
della capitale tedesca per sottrarlo agli alleati. Gli abitanti
e i soldati restano senza rifornimenti vitali.
Ma l'organizzazione Usa aggira l'ostacolo aprendo una via
in quota.
LA GUERRA FREDDA “Il blocco di Berlino fu la battaglia
suprema della guerra fredda”. Oggi, a dieci anni dal
crollo del blocco sovietico, questa espressione sui fatti
accaduti tra il 1948 e il 1949 può sembrare venata
di retorica, ma in quei giorni (e negli anni che immediatamente
seguirono) fu chiaro ed evidente che, resistendo a Berlino,
l'Occidente aveva segnato un primo importante passo verso
il contenimento dell'espansionismo sovietico in Europa e,
di conseguenza, nel mondo. Su quel mattone gli Stati Uniti,
e la nascente NATO, costruirono un nuovo edificio strategico
che si sarebbe rivelato fondamentale per la vittoria. Nel braccio di ferro che nacque dall'isolamento
sovietico della città tedesca, gli Stati Uniti fecero
quelle che possono essere definite le "prove generali"
della guerra fredda. Tutti gli ostacoli che il governo americano
dovette affrontare nei decenni a venire furono, in un certo
senso, messi sul tavolo in quegli undici mesi - dal giugno
1948 al maggio 1949 - in cui il mondo sembrò avvicinarsi
ad un nuovo conflitto. Nella crisi di Berlino, infatti, Mosca sfoggiò tutte
le possibili armi di pressione - propagandistica, militare,
politica - che gli Stati Uniti avrebbero imparato a conoscere
in tutti i successivi momenti cruciali della guerra fredda.
I primi clamorosi "niet" degli emissari moscoviti,
come la manipolazione elettorale nel settore occupato dai
sovietici, la mobilitazione dei comunisti occidentali e l'arruolamento
degli intellettuali compiacenti nel "movimento per la
pace", che si tentava di usare come quinta colonna all'interno
del fronte occidentale, furono disinnescate. In più,
il felice esito della crisi berlinese si rivelò un'eccezionale
vittoria propagandistica per gli Occidentali, e un clamoroso
fallimento per i sovietici. La crisi del blocco cambiò profondamente
lo scenario internazionale. Washington, per la prima volta
dai fatti di Hiroshima e Nagasaki, faceva balenare il proposito
di ricorrere al proprio armamento nucleare nel cui campo -
non va dimenticato - ai tempi deteneva l'assoluto monopolio.
Gli Stati Uniti, infatti, non esitarono, per realizzare il
ponte aereo su Berlino, a trasferire i propri bombardieri
strategici in Gran Bretagna. La crisi di Berlino contribuì
al passaggio da una fase "confusionaria" della guerra
fredda - quella di un confronto improvvisato giorno per giorno,
senza un chiaro disegno geo-strategico - ad una fase "matura",
con obiettivi a lungo termine e strategie pianificate dai
più alti livelli politici e militari. Non va dimenticata, infatti, la situazione
storica del momento. Le alleanze e i rapporti di forza all'interno
dell'alleanza che aveva sconfitto il nazismo stavano mutando
radicalmente. Innanzi tutto, la posizione di Francia e Gran
Bretagna andava indebolendosi: il governo britannico aveva
fatto presente a quello americano che Londra non avrebbe potuto
reggere la responsabilità di un coinvolgimento militare
strategico imponente nel continente europeo. Nel febbraio
1947, l'ambasciatore inglese a Washington aveva inviato due
note al dipartimento di stato in cui si comunicava l'impossibilità
per Londra di continuare nei finanziamenti a Grecia e Turchia
in funzione filo-occidentale. Per gli Stati Uniti si poneva quindi il grande dilemma che,
periodicamente nella storia, li poneva di fronte alla decisione
di impegnarsi in una politica mondiale o - al contrario -
di ritirarsi in una sorta di "splendido isolamento".
La sensazione che i rapporti all'interno dell'alleanza anti-nazista
stessero cambiando, peraltro, erano cominciati qualche tempo
prima. Nell'agosto 1946 il premier britannico Winston Churchill
aveva pronunciato il celebre discorso della "cortina
di ferro". "Una cortina di ferro - disse Churchill-
è calata da Stettino a Trieste". Queste parole
implicavano una constatazione e un progetto: la prima era
che l'Europa andasse verso una divisione netta in due sfere
di influenza; il secondo, invece, faceva comprendere come,
a quel tempo, gli occidentali considerassero la Germania (ben
di là della linea di demarcazione descritta da Churchill)
un paese ancora recuperabile all'Occidente. L'alleanza della
Seconda guerra mondiale si può considerare definitivamente
conclusa, invece, con un altro celebre discorso, questa volta
del presidente Truman. Il 12 marzo 1947 il presidente enunciò
al Congresso quella che passerà alla storia come l'ufficializzazione
della dottrina Truman. Un parte dell'Europa - quella finita
sotto l'ombrello sovietico - aveva perso la libertà,
gli Stati Uniti non potevano arretrare dal compito di contenere
l'espansionismo di Mosca. Era la famosa "domino theory", la teoria del domino.
Vale la pena riportare alcuni stralci di questo discorso,
dal quale si può desumere buona parte del comportamento
tenuto dagli U.S.A. nella successiva crisi del blocco di Berlino:
"Sono pienamente consapevole delle ampie implicazioni
che una decisione degli Stati Uniti di estendere la propria
assistenza a Grecia e Turchia comporterebbe… I popoli
di tutta una serie di paesi nel mondo hanno recentemente subito
l'imposizione di regimi totalitari contro il proprio volere.
Il governo degli Stati Uniti ha frequentemente protestato
contro coercizioni ed intimidazioni avvenute, in violazione
degli accordi di Yalta, in Polonia, Romania e Bulgaria [il
colpo di stato in Cecoslovacchia avverrà nel 1948.
Nella presente fase della storia mondiale quasi ogni nazione
deve scegliere tra modi di vita alternativi. E tale scelta
spesso non è libera. Uno di questi modi di vita è basato sulla volontà
della maggioranza, ed è caratterizzato da libere istituzioni,
da un governo rappresentativo, da libere elezioni, dalla garanzia
delle libertà umane, dalla libertà di parola,
di religione e libertà dall'oppressione politica. Il secondo modo di vita è basato sul
volere di una minoranza imposto alla maggioranza. Questo fa
affidamento sul terrore e l'oppressione, sul controllo imposto
su radio e stampa, sulle lezioni guidate e sulla soppressione
delle libertà personali. Ritengo che debba essere politica
degli Stati Uniti sostenere i popoli liberi che stanno resistendo
ai tentativi di sottomissione. Il collasso delle libere istituzioni
e la perdita dell'indipendenza [nei paesi minacciati dal comunismo,
sarebbero disastrosi non solo per loro, ma per il mondo…
Se falliamo nell'aiutare la Grecia e la Turchia in questa
ora fatale, sia l'Occidente che l'Oriente ne subiranno le
conseguenze…"
La situazione era quindi questa. Iniziava
la politica del contenimento del comunismo, e cedere ovunque
significava gettare i semi della sconfitta. Indubbiamente,
non solo all'aggressività sovietica si deve l'inizio
della guerra fredda. Molte furono le incomprensioni tra Mosca
e Washington, il che portò ad una forma di diffidenza
reciproca. Uno degli aspetti più paradossali della
nascita della guerra fredda fu l'eccezionale sviluppo economico
che avrebbe avuto la Germania. I vincitori, che si erano divisi
le spoglie dello sconfitto, andarono d'amore e d'accordo per
un periodo molto breve. Questo significò la divisione
in aree di influenza (quattro: americana, francese, britannica
e sovietica) che, col tempo, si divisero, come è ovvio,
in due fronti, gli occidentali da una parte i sovietici dall'altra.
Gli effetti della guerra fredda nascente portarono a questo:
che, invece che restare uniti nel mantenere la Germania sconfitta
in condizioni di debolezza, gli ex-alleati cominciarono a
ricostruire ognuno la propria Germania, convinti che un giorno
avrebbero annesso la parte in mano al "nemico". Ci fu dunque uno strano paradosso: la storia
avrebbe dimostrato che le Germanie sarebbero state due, ma
intanto il paese sconfitto riceveva continui aiuti. Si può
ben dire, quindi, che la Germania fu, al tempo stesso, beneficiata
e vittima della guerra fredda. Solo i francesi, comprensibilmente,
si opponevano nel campo occidentale a questa politica di obiettivo
rafforzamento dell'antico rivale. I sovietici, da parte loro,
prima di lanciarsi nella creazione della Germania Est (ma
solo una volta che i piani erano stati fatti) condividevano
la stessa politica di Parigi. Gli anni seguenti hanno dimostrato
quanto i russi fossero ossessionati dal ricordo del 1914 e
del 1941 e della paura di una Germania che risorgesse per
vendicarsi. In effetti, nel 1945 il loro obiettivo principale
fu mantenerla in ginocchio…". Tutto cambiò
con la sterzata della politica americana. Il governo americano
terminò la strategia degli "affitti e prestiti",
negando proprio un prestito per la ricostruzione ai sovietici.
Oltre a ciò, di lì a poco sarebbe venuto il
Piano Marshall, con il quale gli americani avrebbero ricoperto
l'Europa di dollari. Ovviamente, Stalin si oppose e impedì
che i paesi dell'est - inizialmente inclusi nel piano di aiuto,
che in ogni caso prevedeva delle contropartite - beneficiassero
del piano. Questo rese i rapporti tra U.S.A. e URSS ancora
più tesi. In più, la dirigenza americana intendeva
stabilizzare l'economia dei settori occidentali della Germania,
ricorrendo ad una riforma monetaria, che Mosca vedeva come
il fumo negli occhi. Gli occidentali - questo il timore dei
sovietici - si sarebbero comprati anche la zona spettante
a loro. Una riforma monetaria non avrebbe rappresentato
un semplice espediente tecnico. La moneta costituiva allo
stesso tempo il simbolo della sovranità e lo strumento
per esercitarla. Perciò una nuova moneta messa in circolazione
nei tre settori occidentali e a Berlino Ovest, avrebbe significato
una nuova forma di organizzazione politica, determinando,
nel contempo, la rottura del controllo dei quattro partiti,
l'esclusione dell'Unione Sovietica dalle decisioni riguardanti
la Germania, nella zona di sua competenza, ed un passo decisivo
verso la spartizione - ancora prima che fosse creato - di
un governo tedesco-occidentale. I passi per la creazione della NATO, infine, furono la goccia
che fece traboccare il vaso. L'alleanza occidentale era percepita
in chiave antisovietica, e così i sovietici dichiarano
defunto il Consiglio delle quattro potenze. Il blocco di Berlino
durò, come detto, dal giugno 1948 al maggio 1949.
In questo periodo due avvenimenti all'interno della zona sovietica
contribuirono a irrigidire ulteriormente le posizioni dei
due blocchi contrapposti: il colpo di stato in Cecoslovacchia,
che diede ai comunisti il potere assoluto, e lo scisma iugoslavo
(il 28 giugno 1948 il PC iugoslavo era espulso dal Cominform).I
fatti della Cecoslovacchia confermarono gli occidentali nella
necessità di contenere la minaccia comunista, mentre
la crisi tra Tito (imperialista) e Stalin portò ad
un irrigidimento ulteriore di Mosca, che si sentiva accerchiata.
Se nel tentativo di sottomettere Tito, Stalin commise gravi
errori di giudizio, maggiore abilità dimostrò
nel modo in cui condusse quello che rimaneva il tema centrale
tanto per l'URSS che per l'Occidente: il futuro della Germania. La partita, quindi, a Berlino non poteva essere persa. La
stessa cosa la pensavano però gli americani che, in
un certo senso, anticiparono per timore le possibili mosse
dei russi, ipotizzando un piano sovietico che, probabilmente,
non era ancora in atto, e che non è detto fosse giudicato
inevitabile. I primi allarmi a Washington cominciarono a pervenire
da due personaggi importanti, l'ambasciatore americano a Mosca
e il governatore militare della Germania. Quest'ultimo, nel
1948, arrivò a supporre di fronte ai capi di stato
maggiore americani l'imminenza di una guerra. Il tenore era comunque di un continuo allarmismo: i sovietici
- questa la supposizione - stavano pensando di isolare la
parte occidentale di Berlino. Non dimentichiamo che Berlino
era all'interno della zona sovietica, e quindi la sola possibilità
di poter bloccare qualsiasi collegamento tra Berlino e l'Occidente
fu vista come una realtà imminente. Le potenze occidentali
in pratica dal benestare sovietico per quanto riguardava l'invio
di rifornimenti necessari per le proprie guarnigioni e due
milioni e mezzo di tedeschi. Indubbiamente, da parte dei russi
alcune pressioni in questo senso cominciarono, ma non è
detto che l'esito ultimo fosse il blocco totale, come poi
avvenne. Berlino, comunque, rappresentava un'allettante
carta da giocare per Mosca, sarebbe stata un punto mai adatto,
quanto altri, per far pressione sugli alleati occidentali
se il conflitto fosse entrato in una fase acuta e sarebbe
stata nello stesso tempo la scena di una sconfitta decisiva
se essi avessero giudicato impossibile restarvi. Non c'è
da stupirsi dunque se pochi mesi dopo l'ambasciatore americano
a Mosca ipotizzava sulla possibilità del blocco. Impegnandosi
ad appoggiare i partiti politici occidentali a Berlino, le
potenze occidentali stesse avevano fortemente alzato la posta
politica della loro presenza nella città, i non ebbero
bisogno di provocare una crisi esplicita Le prime misure per isolare Berlino dall'aiuto
occidentale furono adottate nel marzo 1948 e furono giustificate
come temporanee interruzioni dovute a lavori di riparazione.
Il blocco non fu completato prima di agosto, e a ciascun nuovo
passo in tale direzione seguì un intervallo per sondare
la reazione degli occidentali e valutare i potenziali pericoli
di guerra, eventualità che i sovietici finirono giustamente
col convincersi che gli occidentali volevano evitare quanto
loro. Lo strangolamento cominciò il giorno dopo dell'ufficializzazione
occidentale che la contestata riforma monetaria sarebbe entrata
in vigore, con quello che fu chiamato il "mini-blocco". Per dieci giorni, a cavallo tra marzo e aprile 1948, i sovietici
rallentarono e interruppero periodicamente e imprevedibilmente
il traffico ferroviario. Non solo: annunciarono anche che
il progetto economico occidentale intendeva dividere la Germania,
e che quindi da parte loro avrebbero incluso Berlino nella
loro riforma monetaria della Germania orientale. Accettare
avrebbe significato, per gli occidentali, vendere Berlino
all'Est, e così annunciarono che il 23 giugno i "nuovi
marchi" sarebbero circolati anche a Berlino. La crisi era entrata nel vivo. I sovietici
bloccarono tutte le strade che conducevano a Berlino e tolsero
l'energia elettrica alla città. L'idea di rifornire
la parte libera di Berlino dal cielo fu la logica conseguenza
di questa condizione. L'impresa, tuttavia, dal punto di vista
militare era pazzesca. Nel giugno 1948 le riserve nei settori
occidentali erano sufficienti a garantire cibo per non più
di trentasei giorni e carbone per le centrali elettriche per
non più di quarantacinque. Il calcolo compiuto da entrambe
le parti fu che, al massimo, le potenze occidentali avrebbero
potuto mantenere la propria posizione a Berlino per un limitato
periodo, dopo di che avrebbero dovuto scegliere solo tra tre
possibilità: ricorrere alla forza per spezzare il blocco;
compiere un'umiliante ritirata destinata ad avere ripercussioni
sull'opinione pubblica tedesca e sulla sua fiducia nelle promesse
occidentali; acquisire il diritto a rimanere accettando i
termini imposti dai sovietici. Questi d'altro canto non correvano
alcun rischio che non potessero immediatamente neutralizzare
sollevando il blocco, salvo poi imporlo nuovamente. In undici
mesi, l'eccezionale impresa condotta da americani e inglesi,
con il contribuito dell'equipaggio da terra tedesco, avrebbe
capovolto i rapporti di forza, e il mondo libero avrebbe riportato
un'eccezionale vittoria morale e propagandistica. A Berlino,
in questo periodo, i sovietici scatenarono una campagna aggressiva
che mirava ad isolare e demoralizzare l'area occidentale della
città. Nella zona sovietica si era creato "spontaneamente"
un fronte dei partiti unico tra socialisti e comunisti, che
avevano messo in minoranza qualsiasi altra opposizione. Ora
non restava che intimidire i partiti democratici della Berlino
occidentale, con l'aiuto zelante dei comunisti di quella zona.
A questo punto - insieme all'impresa del ponte aereo, che
vide il sacrificio di 79 uomini, tra piloti americani, inglesi
e tecnici tedeschi di terra - va anche ricordata l'eccezionale
dimostrazione di forza dei berlinesi. In fondo il blocco si
rivelò una sorta di "catarsi": il popolo
che risorgeva dalle rovine del nazismo, che si vergognava
del recente passato e anche della sconfitta subita, si aggrappava
agli ideali di libertà e democrazia. I sovietici e
gli amministratori comunisti si impegnarono a dimostrare ai
berlinesi occidentali che avrebbero potuto restare nella loro
città solo se i sovietici lo avessero voluto.
Le potenze occidentali - questo il messaggio - non li avrebbero
difesi fino all'ultimo e, prima o poi, li avrebbero abbandonati.
Si fece di tutto per ottenere l'adesione di quella popolazione,
combinando pressioni politiche e allettamenti materiali. Da
una parte si intimidirono i suoi rappresentanti eletti, dall'altra
le autorità della zona sovietica offrirono generose
razioni di viveri e combustibile a tutti gli abitanti della
Berlino occidentale che si fossero registrati a questo scopo
a Berlino Est. Quanto fosse coraggiosa e decisa la popolazione di Berlino
Ovest lo dimostra il fatto che in pieno inverno, in una città
ancora in rovine e dove i vecchi e i malati erano una percentuale
molto più alta del normale, solo il due per cento circa
della popolazione si fece registrare a Berlino Est. Durante
questo periodo, inoltre, fu chiaro che, contro ogni ragionevole
previsione, il ponte aereo poteva funzionare. Il 23 giugno,
nonostante le minacce dei comunisti, il consiglio comunale
di Berlino, riunitosi nel settore sovietico e "privato
della protezione della polizia" deliberò il riconoscimento
della moneta occidentale nei settori occidentali. Il giorno
seguente un raduno di massa di ottantamila berlinesi applaudiva
quell'atto di coraggio. Tre giorni dopo, le buone notizie
sarebbero cominciate a piovere dal cielo. Senza la minima previsione di quanto sarebbe potuto durare,
il ponte aereo iniziò il 26 giugno 1948. Come primo
atto simbolico tre squadroni di bombardieri atomici americani
B29 raggiunsero la Gran Bretagna: il colosso americano cominciava
a mostrare i muscoli. Va ricordato, comunque, che durante
la crisi i contatti diplomatici tra Occidente e Mosca non
cessarono mai. Ad agosto i tre ambasciatori occidentali ebbero
un colloquio con Stalin, che si dimostrò quasi conciliatorio.
Era solo una mossa raggirante perché, al sodo, le richieste
sovietiche, formulate da Molotov, si rivelarono inattuabili.
I sovietici, in ogni caso, non avevano fretta. Ogni giorno
che passava il laccio della fame si sarebbe stretto intorno
a Berlino. Apparve chiaro che i sovietici aspettavano l'entrata
in campo di un "generale" che, nella loro storia,
si era dimostrato sempre affidabile: l'inverno. Tutto dipendeva dalla riuscita o meno del
ponte aereo. Se questo fosse fallito a causa dei rigori dell'inverno
(e l'ultimo giorno di novembre del 1948 la nebbia consentì
l'atterraggio a Berlino di soli dieci velivoli), allora tutto
il coraggio mostrato dai berlinesi sarebbe andato sprecato.
Con grande sorpresa lo sforzo congiunto dell'USAF e della
RAF, e l'incessante supporto dei berlinesi nelle operazioni
di scarico e manovra degli aerei, riuscì a rifornire
di cibo e carbone due milioni e mezzo di abitanti per ben
undici mesi, per un totale di ottomila tonnellate al giorno. Solo le cifre, forse, possono spiegare quella che può
ben essere definita un'impresa titanica. Nel mese di dicembre
il ponte aereo riforniva 4.500 tonnellate di merci al giorno:
500 in più di quelle inizialmente minimamente necessarie
per la città. L'inverno dovette inchinarsi agli uomini:
ogni novanta secondi c'era un aereo che decollava e atterrava
da e per gli aeroporti berlinesi di Tempelhof, Gatow e Tegel.
In primavera i rifornimenti raggiunsero così il record
di 8.000 tonnellate al giorno: la stessa quantità,
sommata, che arrivava prima del blocco per terra e per ferrovia.
La resistenza "politica" a Berlino intanto continuava… I sovietici, aiutati dai comunisti locali, puntavano al "putsch",
aumentando le pressioni di ogni tipo. Il pericolo era tanto
più grave in quanto il terzo vicesindaco di Berlino
era membro del partito di unità socialista, e l'Armata
Rossa e la polizia fecero di tutto per minare la salute e
il morale dei due che lo precedevano nella scala gerarchica
affinché si dimettessero e gli permettessero di occupare
il loro posto. Dovettero subire interrogatori ogni notte,
campagne di intimidazione, e la continua presenza di ufficiali
di collegamento sovietici nei loro uffici. L'uomo della resistenza
era il secondo vicesindaco, che riuscì a resistere
alle eccezionali pressioni comuniste per parecchi mesi, dopo
che il primo vicesindaco era crollato A Berlino Ovest, intanto, il sindaco socialdemocratico
democraticamente eletto ma non riconosciuto dai sovietici,
Ernst Reuter, teneva in perenne mobilitazione i membri del
suo partito, pronti a reagire ad un colpo di mano comunista,
e convocava comizi-lampo cui partecipavano in pochi minuti
migliaia di berlinesi. Intanto, man mano che il ponte aereo
resisteva, i rapporti di forza cominciavano a invertirsi. L'opinione pubblica mondiale vedeva la lotta per la sopravvivenza
di Berlino con entusiasmo. Vedendo che la battaglia per il
possesso di Berlino si metteva al peggio, i sovietici cominciarono
a tenere le proprie posizioni in città, puntando deliberatamente
ad una divisione di Berlino. Essi infatti costrinsero ogni
ufficio occidentale ad abbandonare il settore est, in vista
della creazione di un autonomo governo di Berlino est. Quando
Friedensburg si vide rifiutare l'accesso all'ufficio del sindaco
da un sorridente ufficiale sovietico le due Berlino erano
un fatto compiuto".
Da questo momento in poi i sovietici usarono il blocco semplicemente
per ritardare il più possibile la nascita della Germania
occidentale. Due avvenimenti fondamentali avevano contribuito
a spostare la bilancia in favore degli occidentali: a novembre
del 1948 il presidente Truman era stato confermato alla presidenza
degli Stati Uniti, il 5 dicembre i Berlinesi, resistendo alle
intimidazioni, si erano recati alle urne per le elezioni comunali
che avevano assegnato una maggioranza dell'83 per cento ai
tre partiti democratici Ancora una volta non disponiamo di alcun
documento che ci dica perché o finanche quando Stalin
decise di riconoscere che la partita era persa. La ritirata
sovietica avvenne, secondo costume, in modo indiretto. A febbraio
del 1949, nel rispondere alle domande di un giornalista americano
sulle condizioni sovietiche per rimuovere il blocco, Stalin
omise qualsiasi riferimento alla questione monetaria. In seguito
si venne a sapere che l'omissione non era stata accidentale.
Di lì a poco il nuovo Ministro degli esteri sovietico
- che aveva sostituito Molotov - fece sapere che una riunione
del Consiglio dei ministri degli Esteri sarebbe stata una
buon punto di partenza per discutere la fine del blocco. Erano solo i primi timidi passi, perché in quei giorni
nasceva “l'embrione” della NATO e Mosca avrebbe
reagito duramente denunciando la "violazione della Carta
Atlantica" e scatenando l'offensiva dei "partigiani
della pace". Tutto questo non servì. Berlino resistette con gli
aiuti angloamericani, e nel maggio 1949, improvvisamente,
i sovietici tolsero il blocco. Il ponte aereo - in una straordinaria
dimostrazione di forza - fu mantenuto fino a settembre, per
altri quattro mesi. Dalla crisi del blocco di Berlino gli
occidentali uscivano più forti. Innanzi tutto, il ponte
aereo si rivelò un test per la propria efficienza aerea.
La flotta americana ne uscì decisamente rafforzata,
tecnicamente e, soprattutto, moralmente. In una prospettiva
più ampia il blocco aveva dimostrato che c'erano pericoli
reali nella guerra fredda; ma aveva dimostrato anche che nessuna
delle due parti voleva in realtà una guerra. In questa
situazione non c'era altro da fare che abbandonare la competizione
per il controllo di una Germania riunificata le ricominciare
da capo sulla base delle due Germanie. Per il futuro non fu
più questione di decidere come e quando, ma se la Germania
sarebbe stata riunificata.
Il prezzo pagato dai tedeschi portò però anche
al rafforzamento del blocco occidentale. In quei mesi l'Alleanza
Atlantica avrebbe gettati i semi di una unione che sarebbe
durata, e dura tutt'oggi. Come disse in seguito il generale
Clay, “il blocco era stata la mossa strategica più
sciocca che i russi potessero fare”. Nell'agosto del
1949 furono indette le elezioni nel territorio che sarebbe
diventato la Germania federale, a settembre il Bundestag elesse
il primo cancelliere della neonata repubblica. Il mese seguente
i sovietici chiamarono a Mosca i dirigenti del partito comunista
orientale e diedero il placet per la creazione della Repubblica
Democratica Tedesca. Le cose, come si sa, non erano destinate
a finire così. Le due Germanie si rivelarono due mondi
differenti: democrazia e un'eccezionale ripresa economica
ad Ovest, un sistema totalitario e povertà all'Est.
Nell'agosto del 1961, in seguito alle continue fughe dei berlinesi
orientali nella zona occidentale, il governo della Germania
Est, d'accordo con i sovietici, avrebbe cominciato la costruzione
del Muro.
Il “Muro di Berlino”
Questo muro, eretto e presidiato militarmente
dal governo comunista, isolò Berlino Ovest nella Repubblica
democratica tedesca dal 1961 al 1989. Tra l'istituzione della RDT nel 1949 e la metà del
1961 quasi tre milioni di persone abbandonarono il paese,
la maggior parte di loro entrando a Berlino Ovest, che, priva
di retroterra, nel cuore della RDT, era divisa in settori
occupati militarmente da inglesi, francesi e americani.
Durante la notte del 13 agosto 1961 i soldati della RDT e
i membri delle sue milizie, i Kampfgruppen (gruppi di combattenti),
elevarono barriere temporanee che furono poi in seguito sostituite
da un vero e proprio muro lungo 47 km e alto 4 m, da edifici
di mattoni e da due punti di guardia. Sebbene il regime annunciasse
che questa fosse una misura difensiva contro l'invasione della
Germania occidentale, le postazioni anticarro e i fossati
che circondavano il muro in tutta la sua lunghezza furono
posti all'esterno, per impedire la fuga dei cittadini della
RDT. È stato calcolato che, tra il 1961 e il 1989, almeno
settanta persone sono state uccise mentre cercavano di attraversare
il confine. Nel 1989 il regime della RDT crollò e la
demolizione del muro, condotta dai cittadini in un clima di
contagioso entusiasmo, ripreso dalle televisioni di tutto
il mondo, iniziò il 9 novembre. Oggi sono state mantenute
alcune sezioni di muro ed esiste un piccolo museo accanto
a quello che fu il più celebre punto di attraversamento,
il "Checkpoint Charlie".
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Gli Stati Uniti e le origini della guerra
fredda, a cura di Elena Agata Rossi, - Ed. il Mulino
Hilter e Stalin - Vite parallele, di Alan Bullock, - Ed. Garzanti
Il blocco di Berlino, di Philip Windsor, Collana XX Secolo,
- Ed. Modandori,
La divisione della Germania, Michael Balfour, Collana XX Secolo,
Vol. V - Ed. Mondadori |