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“Non mi ricordavo neanche fosse il giorno del mio compleanno, non avevo avuto il tempo per pensarci”.
Se Tonino Martino, il 13 giugno 1999, quattordici anni fa esatti, non fosse stato al ‘Delle Alpi’ avrebbe spento trenta candeline, cifra tonda a cui generalmente si dà discreta importanza, e festeggiato anche l’onomastico. Lui, però, non ne ebbe modo, aveva un appuntamento con la storia a cui non sarebbe voluto mancare per nulla al mondo.
E’ lui ad aver marchiato a fuoco il suo nome sulla storia centenaria della Reggina, con il gol che dopo ottantacinque anni fece sbarcare gli amaranto in Serie A, a sei mesi di distanza da quella simbolica data, il 2000, indicata in maniera sarcastica, per tutto il secolo scorso, come quella giusta per raggiungere i traguardi più impensabili.
Il suo cuore calcistico è totalmente amaranto, diviso a metà tra quello della Reggina e quello del Livorno, anche se con tutto il rispetto per i labronici assicura”il primo amore non si scorda mai”.
50 presenze e 3 gol, un anno e mezzo in riva allo Stretto. Una miriade di ricordi splendidi e pensare che ciò che che è accaduto avrebbe potuto non avvenire mai.
“Ero reduce dall’esperienza di Empoli – rivela l’ex esterno a Strill.it – in Serie A. Non mi trovai molto bene con il gruppo, era quasi fatta per andare a giocare a Pescara, a casa mia. Alla fine ebbero un ripensamento e mi preferirono Traversa. Arrivò la chiamata della Reggina, non ero molto convinto di accettare, anche per una questione di distanze. Il ds Martino ebbe un ruolo decisivo nel convincermi e alla fine, col senno del poi, non avrei potuto avere destino migliore. Vincemmo il duello diretto proprio con i biancazzurri e qui non me l’hanno mai perdonata (ride ndr). Sono orgoglioso di aver vestito la maglia amaranto. Ancora oggi i reggini che vivono qua o gli amici di Reggio che ho mantenuto mi rircordano quei tempi”.
L’inizio non fu dei migliori, poi si fece quadrato. Gli innesti del mercato di riparazione elevarono il tasso tecnico ma come ha recentemente
dichiarato Paolo Ziliani, altro protagonista dell’annata, quella squadra forse valeva le zone di metà classifica, ma palla e avversario non passavano insieme in direzione della vostra porta, segno che quel qualcosa in più che portò alla promozione era relativo all’aspetto umano.
“Inizialmente non riuscivamo a capire i meccanismi del gioco di Gustinetti. C’era un pò di nervosismo.Gli arrivi di uomini come Cozza, Possanzini, Artico semplificarono le cose. Era un gruppo di amici che badava al sodo, o palla o uomo come dice Paolo. Pian piano abbiamo visto l’obiettivo avvicinarsi e non potevamo lasciarlo là. Quell’impresa la dovevamo a Reggio Calabria”.
Quel 13 giugno serviva solo vincere, l’impresa non era titanica visto l’avversario già in vacanza, ma fu comunque un’esplosione di gioia. Qualcuno disse che la corsa di Martino verso i tifosi amaranto, almeno a Reggio, offuscò definitivamente l’urlo di Tardelli a Spagna ’82.
“Mi aspettavo che saremmo andati in Serie A. A Torino trovammo un’autostrada semiaperta, loro erano già promossi ed eravamo così carichi e concentrati che non ci avrebbe spostato neanche la bomba atomica. Mai, però, avrei pensato di riuscire a segnare il gol storico e di correre sotto il settore ospiti. Volevo abbracciare tutti i quindici-diciottomila tifosi che erano venuti a seguirci, mi era scesa la cataratta davanti agli occhi, se così possiamo dire, non capivo più nulla”.
Sei mesi in Serie A e una cessione al Savoia, mai digerita.
“Colomba non credeva in me e Poli. Nè io, nè Maurizio avremmo voluto lasciare la squadra, anche se il nostro ruolo magari sarebbe stato marginale in quanto a minutaggio. Per il bene della Reggina abbiamo preferito cambiare aria e siamo finiti in Campania”.
La cadetteria oggi è un campionato molto diverso da quello quasi tre lustri fa. Che differenze nota un ex calciatore? Hai seguito il campionato ?
“Per capire la differenza tra la B di oggi e quella di ieri basta vedere che giocatori ci fossero all’epoca: Francioso al Genoa e Doni all’Atalanta, solo per citarne due. Con le nuove regole e anche per le contingenze economiche ci sono molti giovani, manca la classe di un tempo. Lo standard è molto calato. Cito come esempio quello del Pescara di quest’anno: è andato in A ed è tornato subito in B, il livello era quello e nonostante avessero risorse per rinforzarsi bene non sono riusciti a colmare il gap tecnico con le altre, senza dimenticare che hanno perso Verratti, Insigne e Immobile. Il Livorno, una squadra a cui sono molto legato, è riuscito ad andare in A solo grazie all’organizzazione tattica e alla forza del gruppo, nel loro parco giocatori solo Paulinho è sopra la media, ma l’anno scorso lo avrebbero voluto mandare via a calci per tutti i gol che sbagliava. Il Verona era una corazzata, il Sassuolo stava lì da anni e aveva un elemento che fa la differenza come Missiroli. La Reggina, invece, nel ’99 andò in A e riuscì a salvarsi, non a caso. Adesso la forbice è molto più ampia tra le due categorie”.
Al Granillo non si respira più l’atmosfera calorosa di un tempo, il campionato è stato tutt’altro che esaltante.
“La Reggina non può stare più là sotto in classifica. La Reggina deve stare in A, ci sono piazze che sono già in massma serie e che la meritano molto meno. Mi dispiace che il pubblico si sia disaffezionato, quando vedo i servizi in televisione e noto lo stadio vuoto mi fa male il cuore. Capisco, però, anche la gente che non vede una squadra che gli dia soddisfazioni e che magari non incarna quei valori valori di attaccamento che avevamo noi. Quando l’ho vista giocare, ed è accaduto spesso, mi è sembrato mancasse la giusta cattiveria agonistica. Una volta non stavamo a pensare al contratto in scadenza, mordevamo gli avversari e davamo tutto per la gente che ci spingeva. Penso comunque che a livello di immagine, di fronte ai tifosi, non contribuiscano perdite come quella del direttore Iacopino dopo quarant’anni nella Reggina o come Amoruso, finito al Palermo, che spesso fungono da collante tra la società e la tifoseria e possono spiegare tante cose ai calciatori più giovani. Nella Reggina deve stare chi la ama. Mi auguro che arrivino tempi migliori, c’è amarezza e bisogna avere pazienza. Solo tremila persone allo stadio le posso vedere ad Empoli, non a Reggio Calabria”.
Quest’anno la Reggina compie cento anni, che prospettive ti auguri che la società possa avere?
“Per il centenario spero possa essere allestita una squadra forte in grado di lottare nelle zone alte della classifica. Sarebbe bello ritrovarci in una serata che celebrerà il centenario, magari allo stadio”.
L’ “uomo della storia” spera di tornare un giorno a offrire il proprio contributo per la Reggina?
“Ci fosse una minima possibilità tornerei volentieri, per qualsiasi mansione. E’ chiaro che questa non deve essere una forzatura, ma solo un’eventualità nel caso io potessi realmente servire a qualcosa. Quattro anni fa pensavo ci fosse la possibilità di tornare a lavorare nell’ambito del settore giovanile, visto che adesso gestisco una scuola calcio a Scafa, vicino Pescara, ma non se ne fece nulla. Il primo sogno di fare il calciatore l’ho realizzato, il prossimo può essere quello di tornare in quella che è la squadra che amo di più, per l’esperienza che ho vissuto e per il rapporto che ho avuto con la gente”.
Pasquale De Marte
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