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di Mimmo Musolino
Quando mancavano appena due tappe alpine la grande speranza di vincere, per la seconda volta, il Giro d’Italia sembrava perduta e svanita nel nulla, senza rimedio.
Quasi nessuno ci credeva più, che nei quasi 300 chilometri che mancavano alla fine della grande e faticosissima corsa a tappe, il campione di Messina avrebbe potuto recuperare il distacco che lo separava dalla testa della classifica generale e dalla maglia rosa, anche perchè nei giorni precedenti le sue gambe non giravano come al solito ed egli sembrava in preda a delle irreversibili crisi di rendimento.
Poi come per incanto sui duemila e passa metri di altezza delle Alpi tra due ali di folla entusiasta Vincenzo Nibali trova orgoglio, entusiasmo e la forza tipica dei meridionali quando sono in grosse difficoltà e la sua maglia azzurra di Campione d’Italia tagliava il traguardo infliggendo agli attoniti avversari pesanti ritardi. Ma ancora mancavano soli 44 secondi perché egli potesse conquistare la maglia rosa di leader del giro.
La tappa successiva era ancora in altissima montagna, bisognava scalare 4 colli delle Alpi marittime, ai confini con la Francia, e soprattutto il “Colle della Lombarda “ a 2.350 metri di altitudine e con arrivo a “Sant’Anna di Vinadio “, dove è sito l’omonimo “ Santuario di Sant’Anna”, il più alto Santuario d’Europa, a 2.035 metri verso il cielo.
L’Italia sportiva, e non solo gli appassionati di ciclismo, fremevano davanti ai televisori aperti a tutto volume aspettando da un momento all’altro, nella parte più difficile e faticosa della scalata della montagna, lo scatto decisivo dello “Squalo dello Stretto”,che però stava rintanato in gruppo, ma negli occhi si poteva cogliere il coraggio da antico gladiatore, lo sguardo dell’Aquila ( altro che squalo ) che tiene d’occhio la sua preda ed al momento più opportuno ci si avventa addosso, in supersonica picchiata, non lasciandole scampo.
E così è stato: all‘improvviso eccolo scattare come un fulmine paralizzando gli increduli avversari che sono riusciti a stargli a ruota solo per qualche metro e poi con pedalata sempre agile e determinata arrampicarsi su quelle strade,tra due muri di ghiaccio, di quella montagna arida e brulla senza neanche un filo d‘erba e con sprazzi di neve che gli sbattevano sulla faccia scolpita di fatica.
Ma egli avanzava imperterrito alla conquista della vetta e credo che nella sua testa non vedesse quelle montagne, che sembravano paesaggi lunari, ma che invece vedesse il verde degli abeti e dei faggi dell’Aspromonte che chissà quanto volte avrà ammirato nelle sue corse sulla “panoramica“ della sua città natale e dal traghetto quando da Messina passava verso il Continente. Ed all’arrivo, tra due ali di folla impazzite di gioia, sembrava interminabile il conteggio di quei 44 secondi di vantaggio che gli servivano per conquistare la maglia rosa e vincere il suo secondo giro d’Italia.
Ma quando il cronometro oltrepassò il minuto di distacco dai suoi avversari,sancendo la sua incredibile e leggendaria vittoria, alzando lo sguardo verso il cielo, il suo primo pensiero, con gli occhi umidi di pianto, è stato per un giovane ciclista, Rosario Costa di appena 14 anni (“ figlioccio” di Nibali e componente della squadra di ciclismo peloritana la “ SsdNibali “morto nei giorni scorsi mentre si allenava sulle strade di Messina), per i suoi compagni di squadra, per l’esile colombiano il “colibrì” EstebanChaves, il suo più diretto avversario, e naturalmente per tutta la folla dei suoi tifosi e appassioni sportivi.
Ed abbiamo potuto ammirare in Vincenzo Nibali non solo il campione più forte del ciclismo italiano ma anche e soprattutto la sua umanità, umiltà e grandezza di Uomo del Sud che con la sua bicicletta ha conquistato le vette più alte d’Europa scolpendo il suo nome, a caratteri indelebili, nella storia del ciclismo.
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