Sisma nello Stretto, riferimenti storici e geologici sui movimenti nell’area

sisma Stretto

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sisma Stretto
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Il recente evento sismico di magnitudo 4.6 localizzato nello Stretto richiama l’attenzione sulle due iniziative sul rischio terremoto organizzate nel Palazzo della Provincia e nella sede del Consiglio regionale nel mese scorso a Reggio Calabria.

Tra gli aspetti affrontati nei due convegni: i prevedibili effetti sulle costruzioni e i rimedi per ridurre i danni dei terremoti, anche alla luce di quanto emerso in Emilia.

Sulla realtà emiliana sono già stati spenti riflettori e telecamere.

Sulla specificità della realtà dello Stretto i riflettori non si sono mai accesi e si continua a non rendere noti i movimenti e fenomeni di rapida evoluzione sulle coste di Calabria e Sicilia. Fenomeni, di grandissima rilevanza ma ignorati nei dibattiti a favore del Ponte sullo Stretto e, anche nei recenti dibattiti nelle varie località marine sui problemi del mare e delle coste della regione. Dibattiti e passarelle televisive con scarsa informazione (o disinformazione) sui reali processi in atto sulle coste, sulle vere condizioni delle acque marine e sui concreti interventi necessari per la messa in sicurezza e bonifica delle stesse. E così invece di favorire la soluzione dei problemi si finisce con l’aggravarli e alimentare rassegnazione e passività.

Per non farsi cogliere impreparati e ridurre al minimo gli effetti d’inevitabili eventi sismici, c’è l’evidente necessità di concreti interventi e attività di prevenzione da attuare prima degli eventi. 

Interventi e attività che non possono non tener conto della specificità geologica della Calabria e dell’intero Arco Calabro-Peloritano. Una specificità spesso ignorata per consentire sconsiderati interventi di saccheggio delle risorse naturali e di cementificazione del territorio, con conseguenze e danni sempre più gravi e ingenti alle popolazioni e all’ambiente.

Classe dirigente calabrese e Governo nazionale non possono continuare a sottovalutare o trascurare la gravissima condizione di dissesto idrogeologico del territorio calabrese. Una condizione che, in prospettiva sismica, predispone a disastri di proporzioni enormi.

Non si può continuare ad ignorare le tante e grandi frane e i fenomeni di liquefazione innescati dai terremoti del passato in tutti i territori dei 409 comuni della regione. Fenomeni ampiamente documentati ed evidenti sia sulle rocce di tutte le ere geologiche, sia sui libri e nelle cronache di ogni epoca storica del territorio. E, tra i documenti scritti che meglio documentano specificità geologiche e risorse naturali ci sono i testi dell’ing. Cortese, responsabile anche del Corpo Reale delle Miniere d’Italia, scritti nei decenni a cavallo della fine del 1800 e l’inizio del secolo successivo.

Nel capitolo dedicato alla “Geotettonica e Sismologia” della “Descrizione geologica della Calabria”, considerata, l’opera scientifica più importante sulla geologia della regione, l’ing. Cortese spiega l’andamento di tutte le fratture e i dislocamenti dell’Arco Calabro-Peloritano. Lo stesso Cortese è il primo a descrivere la stretta relazione tra i terremoti e le imponenti faglie che attraversano la Calabria e, tra l’altro, a indicare perché: “le azioni più forti e, quindi, le rovine maggiori, si raggiungono in strisce parallele alle linee di frattura” .

Dopo la dettagliata descrizione dei fenomeni di sollevamento rilevati sulla costa tirrenica calabrese, l’Ing Cortese evidenzia: “A Sud di Punta del Pezzo il bradisisma sussiste ancora ma produce abbassamento invece che sollevamento. E il movimento è chiarissimo e relativamente rapido. Le sue testimonianze sono manifeste anche a chi come lo scrivente dal 1880 ha soggiornato sulle rive dello stretto, e citeremo quelle osservate, insieme ad altre tolte dal libro del Carbone-Grio.

E, ad esempio, cita: “La rada di Pentimele va a scomparire perché sparisce la punta che la chiudeva a Sud”; e “La spiaggia di Giunchi si immerge gradatamente, e tutte quelle davanti a Reggio sono in continuo abbassamento”.

Autore anche di molti studi e progetti per la realizzazione d’importanti opere come le prime ferrovie della regione, e in particolare la Eboli – Reggio Calabria, l’Ing. Cortese, aggiunge: “Dove si fanno gli stabilimenti di bagni, la spiaggia compresa tra il mare e la ferrovia va continuamente restringendosi, e ciò è visibilissimo nei pochi anni dacchè la ferrovia fu costruita.”

E, continua con altri due esempi di edifici che si abbassano:

– uno storico di antica realizzazione: “Il Castello a mare di Reggio è per metà demolito; le mura cadono a mare; eppure nel 1848, mentre le artiglierie erano rivolte contro la città, i giovani insorti lo girarono dalla parte del mare, a piedi asciutti, perché vi stendeva la spiaggia.”

– e l’altro di realizzazione recente: “Il nuovo macello costruito 10 o 11 anni sono, è in parte demolito dal mare che ha già preso possesso di una parte delle fondazioni.”

E, sui molteplici e rapidi processi di evoluzione morfologica nello Stretto, Cortese, scrive: “ dalla Punta del Pezzo a Capo Spartivento, la costa riceve grosse fiumare le quali, nell’ultimo trentennio specialmente, hanno fatto danni enormi per le grandi quantità di materiali detritici che hanno portato, devastando coltivati, seppellendo vigne e giardini. È incalcolabile il volume di materie solide che quelle larghissime fiumare hanno trasportato in mare, e tuttavia le spiagge non solo non sono in aumento, ma vanno notevolmente diminuendo.”

“Il Capo Cenidio – aggiunge Cortese – appartiene dunque ad una linea di fulcro, intorno a cui la Calabria fa attualmente un movimento di altalena, alzandosi a Nord ed abbassandosi al Sud.  Dico attualmente, perché è probabile che in un epoca anteriore il movimento fosse diverso, e assolutamente l’opposto dell’attuale.”

Dopo aver spiegato il motivo dell’alternarsi del verso dei movimenti, Cortese evidenzia che :“Di questi palpiti della superficie emersa specialmente in regioni prossime a linee o centri sismici abbiamo molti esempi…”

La rilevanza dei movimenti nell’area dello Stretto, attualmente rilevata e misurata attraverso sistemi i satellitari, trova conferma nel rilevante aumento della distanza tra Sicilia e Calabria avvenuto negli ultimi duemila anni.

Infatti, nei primi anni d.C. in cui Plinio il Vecchio scriveva la Storia Naturale, la distanza, tra Capo Peloro e Capo Cenidi (Punta Pezzo) risultava di 12 stadi, cioè circa 2.2 Km, mentre attualmente la distanza è diventata di circa tre chilometri.

D’altra parte non sono da trascurare altri movimenti rilevati nello Stretto. Movimenti non della terra emersa e che palpita, come ha scritto Cortese, ma i grandi e rapidi movimenti dell’acqua salata: i maremoti che hanno sempre accompagnato, i forti terremoti nella zona. Eventi ben evidenziati, ad esempio, in un sito a Sud di Scilla, dove un masso ricoperto di coralli, delle dimensioni di 20 metri cubi e del peso di 5 tonnellate, è stato spinto 2 metri sopra l’attuale livello del mare. Lo stesso sito, ignorato da molti calabresi, è oggetto d’interesse e visite guidate di studiosi di vari centri di ricerca italiani e stranieri.

Nel corso dei convegni di luglio a Reggio Calabria si è fatto cenno anche alle verifiche di agibilità. Aspetto emerso e lamentato anche in Emila: basta richiamare alla memoria le immagini dei vari programmi televisivi, e i commenti, anche dei giornali delle scorse settimane sui disagi dei senza tetto, e sulla possibile delocalizzazione all’estero di alcune aziende per problemi connessi alle verifiche di agibilità.

In proposito, un dato da considerare, riportato e in continuo aggiornamento sul sito web della Protezione civile, è quello delle verifiche effettuate in Emilia, su edifici pubblici e privati. Ad esempio, dopo più di 40 giorni dalla prima forte scossa, alla data del 3 luglio, il numero di verifiche di agibilità effettuate, era indicato in 22.786 e il numero delle squadre operanti in 150. In pratica, considerando 150 squadre in attività per trenta giorni, si ottiene una media di 759 verifiche al giorno.

Il dato del terremoto dell’Emilia si può, ed è utile confrontare con i dati previsti nei vari scenari di eventi sismici delineati dalla Protezione Civile. In particolare: i dati della pubblicazione “scenari sismici comunali per i piani di emergenza ” e  gli altri riprodotti anche su video come, ad esempio, le lezioni del Prof. Dolce, Direttore Ufficio Valutazione, Prevenzione e Mitigazione del Rischio Sismico e Attività ed Opere Post-Emergenza del Dipartimento della Protezione Civile.

Dal confronto con i dati della simulazione di un evento come quello del 1908 emergono elementi da non sottovalutare.  Ad esempio, se si considerano le previsioni delle “abitazioni danneggiate” stimate dalla Protezione Civile in numero di 729.805 e poi si immagina di utilizzare, non 150 squadre di rilevatori come il 3 luglio in Emilia, ma 10 volte di più, ben 1.500 squadre e di effettuare 7.590 verifiche al giorno, emerge che non basterebbero tre mesi!

E, questo, senza considerare le differenze notevoli dei contesti territoriali nei quali operano o dovrebbero operare le squadre di rilevatori:

– il contesto Emiliano, con territori pianeggianti, rete stradale diffusa, e accessibile da tutte le direzioni, senza interruzioni da frane;

– e il contesto come quello calabrese, prevalentemente collinare e montuoso con diffuso dissesto idrogeologico e dove difficoltà di collegamento e carenze di reti stradali esistono anche in tempi di normalità e senza emergenza post terremoto.

La Calabria è l’unica regione d’Italia con tutti i comuni compresi in zona sismica di prima e seconda categoria.

Tra i 261 comuni con territori in zona sismica di prima categoria, a più elevata pericolosità, sono compresi quattro capoluoghi di provincia e comuni molto popolati come Lamezia Terme. Inoltre, ben 114 degli stessi comuni, tra cui Cosenza e Lamezia Terme, solo da pochi anni sono passati dalla seconda alla prima categoria. E, quindi, negli stessi 114 comuni, anche nei casi in cui è stata rispettata la normativa sismica vigente, si è progettato con margini di sicurezza inferiori a quelli attualmente ritenuti necessari, con rilevante accumulo di deficit nella risposta antisismica.

È, infine, da ribadire, che è vero che non è possibile prevedere quando e come si manifesterà il prossimo ed inevitabile evento sismico. Ma è altrettanto vero che si può e si deve arrivare preparati per affrontarlo come si è fatto e come si fa negli Stati Uniti e in Giappone dove l’attività sismica è maggiore.

Per arrivare preparati c’è la necessità, di attività e interventi e ad ogni livello di responsabilità, come, ad esempio:

– procedere con urgenza alla verifica di tutti gli edifici “strategici”: scuole, ospedali, caserme, ponti e importanti vie di collegamento, e adeguare gli stessi ai più recenti criteri di resistenza sismica.

– Programmare la progressiva messa in sicurezza del patrimonio edilizio pubblico e privato.

– Finanziare Piani comunali di emergenza, e rendere i comuni consapevoli del ruolo di protagonisti da svolgere nella prima fase dell’emergenza, prima dell’arrivo della Protezione Civile.

– Promuovere attività di volontariato e di associazioni utili a stimolare amministratori pubblici e cittadini alla cultura della prevenzione, con iniziative finalizzate alla conoscenza degli scenari di rischio e all’organizzazione del territorio.

– Potenziare centri di ricerca mediante l’istallazione di un’articolata e diffusa rete di monitoraggio  per ottenere un quadro esaustivo della vulnerabilità sismica del territorio anche  per l’attività degli operatori civili negli scenari di emergenze/disastri.

– Istituire Servizio Sismico, e Servizio geologico regionale previsto dalla legge regionale n.14 del 1980 dichiarata urgente, applicata in modo molto riduttivo dopo 18 anni con l’istituzione di un Settore regionale senza mezzi e  ridotto a Servizio che di fatto ha vanificato le finalità della stessa legge.

– Dotare i Piani Strutturali comunali di microzonizzazione sismica, ottenuta con dettagliate campagne di prospezioni sismiche.

Di queste e delle altre necessità per la messa in sicurezza delle popolazioni dal rischio sismico, non c’è stata e continua a non esserci piena e adeguata consapevolezza nell’insieme della classe dirigente regionale e nazionale.

 Mario Pileggi geologo del Consiglio Nazionale Associazione onlus “Amici della Terra”

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Author: Cristina

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