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Alle prime luci dell’alba, i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria e della Compagnia di Villa San Giovanni hanno tratto in arresto 6 persone, in esecuzione di due distinti provvedimenti di Custodia Cautelare in Carcere, emessi dal GIP di Reggio Calabria su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia.
L’attività odierna rappresenta il naturale proseguimento dell’operazione “ALBA DI SCILLA”, con la quale i Carabinieri, il 30 maggio scorso, avevano colpito la ‘ndrangheta scillese nella sua articolazione territoriale denominata cosca “NASONE-GAIETTI”.
Le indagini, coordinate dal Procuratore Aggiunto dott. Michele Prestipino Giarritta e dai Sostituti Procuratori dott.ssa Alessandra Cerreti e dott. Rosario Ferracane, hanno consentito di confermare “l’esistenza a Scilla di un’associazione mafiosa denominata cosca NASONE – GAIETTI costituita ed organizzata al fine di assumere il controllo sul territorio del comune di Scilla delle attività economiche, degli appalti pubblici e privati a mezzo estorsioni, intimidazioni sugli imprenditori, avvalendosi per dette finalità della forza e dell’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento che ne deriva”. L’attività investigativa ha fatto emergere la capillare pressione estorsiva esercitata dalla cosca su imprenditori e commercianti locali, con particolari interessi delle famiglie mafiose sugli importanti appalti dei lavori dell’Autostrada A3 Salerno – Reggio Calabria. Decine i danneggiamenti effettuati sul territorio per imporre la forza intimidatrice della ‘ndrangheta.
Il primo dei provvedimenti restrittivi eseguiti ha riguardato FULCO Giuseppe, già detenuto dopo essere stato arrestato in flagranza di reato il 1° giugno 2011, e sua madre NASONE Gioia, a cui sono stati contestati l’associazione di tipo mafioso.
L’attività investigativa ha confermato l’appartenenza alla cosca di FULCO, nipote diretto del defunto boss di Scilla NASONE Giuseppe, con ruolo di partecipe attivo e di emissario della stessa. Le indagini hanno dimostrato che FULCO si era più volte recato sul cantiere esigendo dall’imprenditore la somma di 6.000 euro, corrispondente al 3% circa dell’intero importo dei lavori, come condizione assolutamente necessaria alla prosecuzione degli stessi. In questo caso la cosca ha esercitato la pressione mafiosa tramite due danneggiamenti a distanza di pochi giorni, subiti dalla ditta nel cantiere ANAS nel tratto Scilla-Favazzina sulla statale SS18. Il provvedimento ha interessato anche la madre di FULCO, NASONE Gioia, la quale svolgeva il ruolo di collante tra il figlio recluso ed i vertici del clan. Proprio durante i colloqui in carcere, infatti, gli investigatori hanno monitorato le direttive che l’arrestato impartiva alla madre, riguardanti tutti gli aspetti gestionali della famiglia e della cosca, dal mantenimento economico, alle “imbasciate” per la prosecuzione di tutte le attività illecite.
Il secondo provvedimento restrittivo eseguito ha riguardato NASONE Francesco, elemento di spicco della cosca con ruoli decisionali ed operativi, già detenuto anch’egli a seguito dell’operazione “ALBA DI SCILLA”, e tre operai della SANTA TRADA S.c.a.r.l., ALAMPI Francesco, PICCOLO Giuseppe e SPANO’ Francesco, tutti e tre residenti a Seminara. L’accusa per tutti è di estorsione e furto aggravati dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso. I fatti si riferiscono ad una vicenda risalente al mese di aprile 2012 ed iniziata con il solito furto di materiale da lavoro, accompagnato dal danneggiamento di un furgone di una ditta impegnata nei lavori di ammodernamento dell’Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, in particolare nel rifacimento di alcune gallerie autostradali nel tratto di Scilla. A questi fatti, prodromici alla richiesta estorsiva per come ormai ampiamente documentato dalle indagini dei carabinieri, era seguita una precisa e criminale richiesta di denaro, perpetrata dagli odierni arrestati, necessaria da un lato ad ottenere la restituzione del materiale sottratto e dall’altro utile alla necessità di mettere “a posto” il cantiere, secondo un rituale tristemente noto. Precise infatti erano state le richieste degli estorsori sulle modalità e gli importi da versare.
Ma anche stavolta erano presenti i Carabinieri che hanno ascoltato in diretta tutta la fase della pianificazione e dell’esecuzione dell’attività criminale, avendo infatti predisposto idonei servizi di intercettazione. Gli operai collusi, che si muovevano sotto le direttive di NASONE Franco, elemento di spicco della cosca NASONE-GAIETTI, erano veri e propri grimaldelli che, agendo dall’interno, potevano muoversi liberamente sul cantiere, senza apparentemente destare sospetti e attuando i loro intenti criminali. Avvicinavano le vittime con le loro richieste che poi venivano puntualmente riportate ai vertici dell’organizzazione, per concertare le modalità di intervento. I tre operai svolgevano anche funzioni di rappresentanza dei lavoratori dell’azienda e SPANO’ ricopriva anche il ruolo di rappresentante sindacale.
Particolarmente preziosa per lo sviluppo delle indagini, è stata la decisione coraggiosa da parte di alcuni imprenditori di non sottostare al giogo mafioso e di denunciare le arroganti richieste estorsive, specie se si considera l’eccezionalità dell’evento in un territorio come quello reggino, caratterizzato dall’elevata pervasività della ‘ndrangheta. Come era accaduto nel giugno del 2011, infatti, quando grazie alla denuncia di un imprenditore i carabinieri avevano avviato un’attività di indagine che aveva portato all’arresto di FULCO Giuseppe, anche in questa circostanza le denunce di alcuni dipendenti dell’impresa taglieggiata, che hanno raccolto l’appello lanciato dai magistrati della D.D.A. reggina il giorno della conferenza stampa dell’operazione “ALBA DI SCILLA”, hanno fornito un apporto rilevante alla definizione dei dettagli di tutta la vicenda.
Come detto, l’operazione odierna costituisce la naturale prosecuzione dell’indagine “ALBA DI SCILLA” e rappresenta ulteriore prova dell’aggressività mafiosa della cosca sui cantieri dell’Autostrada A3 SA-RC.
Il danneggiamento dei mezzi di lavoro è il chiaro segnale lanciato dalla consorteria criminale alla ditta appaltatrice. I danneggiamenti, pianificati nei minimi dettagli ed accompagnati dalla minuziosa conoscenza delle aree di cantiere da parte degli arrestati, erano finalizzati, per come dimostrato, a mettere i responsabili delle varie ditte in contatto con gli emissari criminali di volta in volta designati, come condizione necessaria al regolare proseguimento dei lavori. Quasi sempre con la stessa dinamica: danneggiamento a mezzo incendio o corpo contundente dei macchinari di lavoro, a bordo dei quali veniva solitamente collocata una bottiglia contenente del liquido, avvolta da nastro isolante e dotata di miccia.
Gli arresti odierni confermano, inoltre, come la conoscenza precisa dei luoghi e delle realtà lavorative delle ditte impegnate, viene favorita dall’assunzione presso le stesse ditte di accoliti che diventano veri e propri collegamenti con la ‘ndrangheta. Nel caso in cui il segnale non veniva immediatamente recepito, veniva attuata una escalation di intimidazioni fino a raggiungere gli obiettivi desiderati. Una vera e propria strategia della tensione sempre pianificata, lucidamente concepita e metodicamente realizzata. In tal modo la cosca aveva condizionato il regolare e quotidiano svolgimento della vita economica e sociale della comunità scillese.
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