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di Piero Surfaro
Un uomo affabile, in maniche di camicia, che dialoga col numeroso pubblico presente nei locali dell’Antico Frantoio Calabrò di Sant’Alessio in Aspromonte (RC) come se non fosse un pezzo di storia repubblicana dei nostri giorni. Tutto questo è stato Gherardo Colombo. L’uomo, il magistrato, che dopo trentatré anni trascorsi in magistratura e nelle cui mani sono passati alcuni dei segreti più importanti della nostra storia recente quali la scoperta della Loggia P2 e di tutte le sue ramificazioni, il delitto dell’avv. Ambrosoli, la più famosa operazione “Mani Pulite” e il processi “Imi-Sir/Lodo Mondadori e Sme” ha deciso di svoltare in modo deciso e netto lasciando il suo ambiente professionale per dedicarsi ad accompagnare giovani e meno giovani alla “riscoperta del senso delle regole”.
“SULLE REGOLE”, appunto, è il titolo non solo di uno dei suoi ultimi libri pubblicati, ma anche il titolo di un ciclo di incontri che svolge con gente comune, studenti, associazioni e quanti altri hanno in cuore di ascoltare parole sagge sul corretto modo di intendere la legalità a 360° e che iniziando da Sant’Alessio in Aspromonte, un piccolo Comune aspromontano governato da un giovane Sindaco, Stefano Calabrò, che con grande passione e amore per la sua terra èsensibile a tutti quei temi che servono al rilancio culturale del posto, per volontà del prof. Franco Cannizzaro, presidente dell’Associazione di Volontariato-Onlus “Don Bosco”, nei prossimi giorni visiterà vari comuni delle provincie di Reggio Calabria e di Catanzaro per gettare semi di legalità, di amore responsabile, di partecipazione attiva alla cosa pubblica.
In un momento storico in cui tutti si sentono sfiduciati, scarsamente rappresentati da una classe dirigente che riscuote sempre meno consensi allontanandosi molto dalle aspettative di chi esprime con un voto il suo desiderio di essere rappresentato nell’espressione dei propri bisogni, la voce di Gherardo Colombo non si erge per compatire il “popolo che piange”, ma per scuoterlo, per richiamarlo alle proprie responsabilità.
“Se i cittadini non comprendono le regole essi tendono ad eludere le norme quando le vedono faticose e a violarle quando non rispondono alla loro volontà. Perché la giustizia funzioni è necessario che cambi tale rapporto” , è con queste parole che esordisce nel suo colloquio con il pubblico facendo un affascinante excursus storico che, partendo dall’antica Grecia ed arrivando agli abominevoli danni di due conflitti mondiali in meno di trent’anni ad inizio del secolo scorso, ha fatto notare a chi lo ascoltava che l’accettazione passiva di regole e leggi è contraria alla civile convivenza per il semplice fatto che regole e leggi presuppongono l’attivazione di coloro a cui queste regole e leggi sono imposte. Il popolo, la gente comune, con il proprio pensiero, con il suo modo di vivere e decidere quotidianamente ha il potere di far cambiare cose e situazioni che, apparentemente, “non cambieranno mai”. La schiavitù, la sottomissione della donna, le leggi razziali…sono alcuni esempi di leggi imposte alle quali tutti sono stati sottomessi nel corso dei secoli e che, negli anni in cui erano vigenti, sembrava dovessero avere una durata infinita poiché erano, nel bene o nel male, entrate ad abitare la cultura dell’ uomo.
Se oggi invece queste cose non ci sono più è perché con un lento, ma inesorabile, processo di “civile ribellione” gli uomini sono riusciti a far filtrare nella quotidianità dei gesti, delle scelte e delle “legiferazioni” degli Stati un seme di cambiamento che, per l’Italia si traduce nella promulgazione della Magna Carta della civile convivenza che è la Costituzione Repubblicana che, dice Gherardo Colombo, “si basa su un’ imprescindibile triangolazione che vede uniti da un vincolo solidissimo la persona, i suoi diritti fondamentali e l’accesso alle pari opportunità”.
Chi aspetta che a tutelare tutto ciò sia però “l’altro” si sbaglia di grosso!
Nelle sue parole, quest’uomo che trasuda voglia di far cambiare le cose, sollecita quasi con violenza chi lo ascolta a mettersi in moto “se il futuro dipende da noi allora abbiamo ancora speranza, dobbiamo smetterla <<di chiedere alla mamma>>, come fanno i bambini che ancora non sanno scegliere, ma basta mettersi assieme, fare rete, e far cambiare le cose sapendo che i risultati forse li vedremo fra tanto tempo, ma con la certezza che arriveranno!”.
Ed è attraverso lo stimolo della speranza che l’incontro si conclude dopo due ore intense di legalità vissuta, ascoltata, raccontata per bocca di un uomo che, pur avendo smesso la toga tre anni fa “per via delle notevoli contraddizioni che percepivo nella gestione della giustizia nei piani alti”, della toga ne ha fatto uno stile di vita che oggi porta in giro per l’Italia ad offrirlo a tutti coloro che hanno cuore pronto e orecchie attente a cogliere i suoi suggerimenti.
Piero Surfaro
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