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Che emozione scrivere e tenere tra le braccia la piccola Aurora, mia figlia, nata il 7 giugno all’Ospedale civile di Locri. Una sensazione strana e piacevole che oggi mi conduce a riflettere su quel giorno.
Un giorno nel reparto di Ostetricia e Ginecologia di Locri come tanti. Un giorno normale per il personale medico, infermieristico ed ostetrico. Un giorno qualsiasi in cui nascono tante vite, tanti sono le pazienti ricoverate, tanti sono gli impegni lavorativi da portare a termine. Eppure il 7 giugno è stato il giorno. Il giorno della mia famiglia. Dalla mattina alle ore 8.00 quando mi ricoverai e per lunghe 10 ore di travaglio fui assistita dal ginecologo e dall’ostetrica e poi per complicazioni dovetti subire il parto cesareo.
È nata Aurora, ore 19.50. Lunedì 11 giugno le dimissioni e se guardo indietro e ripenso a quei giorni, ricordo tutte le sensazioni provate, tutte le apprensioni dei familiari; ricordo gli occhi attenti dei medici durante le visite, durante il mio lungo travaglio, in sala parto e poi in sala operatoria. Ripenso a quei giorni e mi viene in mente la stretta di mano dell’ostetrica, dell’infermiera che mi teneva la fronte dopo l’operazione, l’infermiere che leniva la sofferenza grazie alla sua disponibilità e la sua spiritosaggine. Ricordo tutto.
Ogni minimo dolore veniva accompagnato da una “dolce” immagine, quella stessa pensata e ripensata durante il corso pre-parto presso il Consultorio di Locri. In quella stanza, se pur tetra, ma colorita “dalle emozioni femminili” ci sono donne pronte a divenire mamme assistite ed accompagnate da psicologhe ed ostetriche in un percorso nuovo ed intraprendente. L’inizio di una nuova avventura con tante altre donne pronte a manifestare il bene al proprio figlio.
Un sostegno quello della psicologa che con la sua voce aiuta le mamme con esercizi e tecniche di rilassamento e di respirazione del training autogeno. E poi i consigli da donna a donna, da amica e professionista. Lì capisci che essere mamma non è un mestiere, non è un sacrificio. Essere mamma è una scelta, un privilegio.
Diventare mamma è assaporare ogni attimo di vita e rafforza i 5 sensi. Vedi le tue compagne di stanza soffrire e gioire, lamentarsi e poi ridere; ascolti i consigli del medico e qualche protesta tra i corridoi; senti il profumo del tuo bagnoschiuma prima di entrare in sala travaglio; assapori una caramella per riprendere le forze; vedi tanta gente intorno a te, tutti i familiari ed amici attendere dietro la porta della sala parto. Ascolti la voce di tuo marito che ti sussurra: «Forza. Ti sono vicino». Dalla sala parto alla sala operatoria: ascolti le indicazioni dell’anestesista, osservi il lavoro di preparazione e poi ti affidi a loro. Il suo cuore vicino al mio e poi, l’apoteosi: il cuoricino di Aurora che batte forte forte e il mio pianto. Dolori che si scordano, nervi che si calmano e poi solo il suo e il mio pianto. È la nuova vita!
Una vita che nasce e apre gli occhi. Il taglio del cordone ombelicale, quella donazione mancata, il suo primo controllo dal pediatra, il suo primo bagnetto, il suo primo vestitino. È la vita! Incredibile! Eppure all’Ospedale di Locri accade questo. Non è sarcasmo. È la realtà. Troppo tempo ad aspettare. Sono passati 30 anni da quando nel 1982, al momento della mia nascita, mi venne provocata la paralisi ostetrica al braccio destro. Mai nessuna denuncia. Di chi fu la colpa in quella sala parto? Chi ha sottovalutato le complicazioni del parto naturale?
Quel 30 luglio, in una serata afosa nessuno fece un passo indietro. Mai una risposta. Da allora molte cose sono cambiate. Molti dottori sono subentrati. Altri sono sempre lì. Eppure, nonostante il mio sfortunato caso, anche io ero lì, in quella sala operatoria, a fidarmi. Fede e coraggio. Speranza e vita. La fiducia che ogni giorno riponiamo nei medici, uomini, anche loro umani, che non sono certamente santi ma nemmeno diavoli. Umani, appunto.
Gente, che ho avuto modo di incontrare e conoscere, che nella loro “fragilità umana”, sanno essere consiglieri, amici, professionisti, medici. Esiste la buona sanità che non è elogiare il nome di un primario o di un ginecologo, è testimoniare che esistono professionisti, in ogni reparto, che compiono il loro dovere. Con pregi e difetti. Con problemi logistici e tagli alla Sanità. Con difficoltà e coraggio, quel coraggio che ogni giorno li porta a superare mille problemi tra burocrazia e negligenze, tra scartoffie e proteste.
Personale medico ed infermieristico, ginecologi, ostetriche, pediatri, puericultrici che devono lottare, quotidianamente, perché, se pur, non bisogna generalizzare, è anche vero che spesso non ci sono le condizioni ideali, c’è carenza di personale come di strutture ed ambienti idonei; e forse anche troppo lontani dalla linee guida sulla sanità pubblica della Commissione europea. Ma c’è la speranza. Sperare che tutto abbia un lieto fine. Questo vuole essere un ringraziamento a tutti. È la mia storia. Normale, senza straordinarietà. Ma anche la normalità va raccontata. È tutto ciò che ho provato e sto continuando a provare. È la vita che ti regala questo.
Domenica Bumbaca
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