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di Francesco Iriti (pubblicato su Calabria Ora)
A distanza di 40 anni i riflettori nazionali vengono proiettati nuovamente sulla “cattedrale” deserta dell’area dell’ex Liquichimica a Saline Joniche con il progetto della centrale a carbone. Una vicenda che affonda le radici nella notte dei tempi e che ebbe inizio nel 1970 quando il governo nazionale decide di porre fine ai tumulti della provincia di Reggio Calabria, che nel frattempo aveva lottato per non perdere il capoluogo, passato a Catanzaro, con il cosiddetto “Pacchetto Colombo”. Un enorme progetto di sviluppo del Sud che riguardava l’insediamento nel territorio reggino di apparati produttivi, tra cui il polo industriale di Saline Joniche grazie allo stanziamento di 300 miliardi di vecchie lire. La struttura viene ultimata nel 1974. Passano pochi mesi dai collaudi, che il Ministero dell’Ambiente blocca definitivamente l’impianto, costruito per la produzione di bioproteine per mangimi animali, per il rischio di agenti cancerogeni. Si arriva quindi al 1977, data del fallimento con ben 600 operai mandati in cassa integrazione, senza aver mai lavorato.
Sull’area cala il silenzio per ben 20 anni con l’enorme struttura lasciata a se stessa ad arrugginire mentre l’adiacente porto inizia a fare i conti con la forza del mare, segno che la progettazione non era stata perfetta, che distrugge parte delle banchine e con la sabbia che ostruisce l’imbocco. Dell’ex Liquichimica si ritorna a parlare nel 1997 allorquando il Consorzio Sipi (Saline Ioniche Progetto Integrato), costituito da imprenditori locali, rileva all’asta gli impianti e i terreni ex Enichem con l’obiettivo di rottamare il ferro e l’acciaio degli impianti e rivendere il terreno. Con il tempo anche le Ogr, officine Grandi Riparazioni delle Ferrovie, vengono smantellate mentre dalle indagini si scopre che la ‘ndrangheta aveva messo gli occhi sulla zona per realizzare un centro commerciale. Si assiste a varie promesse sulla rivalutazione dell’area come la costruzione di un Parco Marino, l’installazione di pannelli fotovoltaici. Solo parole.
Si arriva nel frattempo ai giorni d’oggi, ed in particolare nel 2006, quando l’impresa svizzera Sei SpA (Società Energia Saline composta da Ratia Energia G.A., Hera S.p.A., Foster Wheeler Italiana S.p.A., Apri Sviluppo) acquista dalla SIPI una parte dell’area per la realizzazione di una centrale a carbone, lo stesso carbone il cui utilizzo per la produzione di energia elettrica è vietato dal Piano energetico regionale per tutto il territorio calabrese.
Inizia, quindi, un lungo iter, con istituzioni, associazioni e popolazione che pongono subito il loro no mentre sullo “sfondo” si decide il futuro. Infatti, tra dichiarazioni di alcuni sindaci dell’area grecanica e pareri della conferenza dei servizi (17 settembre 2008), sembra che la vicenda sia chiusa con il rifiuto del progetto. Tuttavia, la Sei continua l’itero di autorizzazioni ottenendo pochi giorni fa il Si da parte del Via del Ministero dell’Ambiente. In mezzo alcuni incontri segreti, anche tra sindaci dell’area grecanica che dichiarano il loro «No…ma».
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