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«Un provvedimento del tutto privo di contenuto giuridico e illegittimo, per cui chiediamo l’annullamento. Nell’iter procedurale, che ha portato allo scioglimento del consiglio comunale di S. Ilario dello Ionio, si rilevano gravi e plurime violazioni di legge: difetto di motivazione, travisamento dei fatti, istruttoria insufficiente, violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa».
Gli Avv.ti Oreste e Achille Morcavallo, e Massimo Romano, del foro di Cosenza, sintetizzano così la dettagliata analisi degli atti, che hanno portato allo scioglimento del comune della Locride per infiltrazioni mafiose, e contro cui è stato dato mandato dal sindaco Pasquale Brizzi, alla guida del comune al momento dello scioglimento, dagli assessori e dai consiglieri comunali, di predisporre regolare ricorso presso il Tribunale Amministrativo del Lazio.
«La legge prevede, in maniera chiara e inequivocabile, che l’esercizio del potere di scioglimento presuppone necessariamente “concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori” e che questi elementi producano poi altrettanto precise ed evidenti forme di condizionamento dell’attività amministrativa – spiegano ancora gli Avvocati Morcavallo e Romano -. Ora, nel caso in questione, nulla di tutto ciò si evince dalla documentazione prodotta per l’emanazione del provvedimento di scioglimento. Anzi, si palesa in tutto il dispositivo, e negli atti che hanno portato allo stesso, grave carenza a livello istruttorio e una superficiale “lettura” dei fatti».
Il consiglio comunale di S. Ilario dello Ionio è stato sciolto con decreto del Presidente della Repubblica del 15.02.2012, su Delibera del Consiglio dei Ministri, e successivo affidamento della gestione dell’ente a una commissione straordinaria. Il 02.04.2011, il Prefetto di Reggio Calabria aveva disposto l’accesso presso il Comune di Sant’Ilario dello Jonio, e, a seguito dell’indagine condotta, venivano ritenuti sussistenti i presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale.
«È necessario che i collegamenti siano “concreti”, cioè non frutto di mere supposizioni o di congetture o di probabilità, ma di eventi realmente verificatisi; “univoci”, cioè concordi e non ambigui nella esternazione di legami e rapporti con la criminalità organizzata; “rilevanti”, e dunque non limitati a singole, modeste e sporadiche occasioni – chiariscono ancora gli Avvocati Morcavallo e Romano -. Inoltre le infiltrazioni o il condizionamento di tipo mafioso non sono, da soli, sufficienti all’instaurazione del procedimento di scioglimento dell’ente; in ogni caso deve ricorrere un’effettiva limitazione della sfera di libera determinazione degli amministratori, di modo che il cattivo andamento degli uffici ed il pregiudizio per la sicurezza pubblica appaiano diretta conseguenza del condizionamento attuato.
Pertanto l’ampiezza del potere discrezionale, esercitato dal Ministero, non può in nessun caso essere disancorata da obiettive risultanze ed elementi di fatto precisi. Orbene, i provvedimenti impugnati, al di là di generiche ed apodittiche affermazioni in ordine alla concretezza, univocità e rilevanza degli elementi raccolti, non contengono nessuno di questi elementi fondamentali, rivelandosi così illegittimi. Inoltre, il disposto normativo, chiede che siano individuate le diverse e singole responsabilità delle infiltrazioni, con indicazioni nominali degli amministratori responsabili, ma nel provvedimento non è riportato nulla di tutto questo. L’indeterminatezza e la genericità appaiono le uniche caratteristiche di un provvedimento che, invece, dovrebbe sostanziarsi con riferimenti precisi e concreti».
Con oltre sessanta pagine di ricorso, suffragato da puntuali riferimenti normativi, oltre che da numerosi indirizzi giurisprudenziali del Consiglio di Stato, gli avvocati Morcavallo e Romano hanno predisposto il ricorso inviato al Tar Lazio (funzionalmente competente) contro il Presidente della Repubblica, il Ministero degli Interni,la Prefetturadi Reggio Calabria e gli altri organi interessati all’iter.
Nel ricorso si evidenzia, tra l’altro, come le procedure di appalto siano state espletate tutte secondo le norme previste dalla legge e come l’amministrazione Brizzi si sia adoperata per creare, nella cittadina ionica, le condizioni di una sempre maggiore limitazione allo sviluppo di devianze, dando vita a consulte per i giovani e importanti scambi culturali con l’estero.
«La relazione ministeriale impugnata, non evidenzia condizionamento o collusioni tali da aver determinato una alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi dell’ente, o, ancora, un pregiudizio per la sicurezza pubblica – conclude -. Tali affermazioni si risolvono in mere espressioni generiche e di stile, astrattamente applicabili a qualsiasi ipotesi, che non sono sufficienti ad integrare i requisiti ex lege richiesti. Quanto contestato nella relazione ministeriale non va oltre le mere congetture, consistendo in ipotesi e supposizioni del tutto smentite dalla realtà dei fatti. Possiamo perciò rimarcare con forza – concludono gli Avvocati Morcavallo e Romano – l’assoluta inconsistenza del provvedimento e l’assoluta estraneità dell’amministrazione guidata da Pasquale Brizzi alle locali presunte consorterie».
La prima udienza davanti al Tar è fissata per il 6 giugno prossimo.
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