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di Giuseppina Sapone
Partiamo da un dato ovvio: il tardo autunno e l’inverno sono le stagioni in cui matura un frutto caratteristico delle aree mediterranee: l’arancia. Presenzia sulle nostra tavola ogni giorno, ma nasconde una storia sanguinosa e toccante di umanità calpestata e immiserita.
Per riscoprire questa storia, per rivisitare i fatti e le problematiche che hanno causato la protesta e la rivolta dei braccianti africani nella Piana di Gioia Tauro all’incirca un anno fa, leggiamo un libro di recente pubblicazione, “Gli africani salveranno l’Italia”, di Antonello Mangano,edito da Bur Rizzoli.
Dapprima, i numeri: Rosarno, città che ospita 14.803 abitanti,vertice di un’area densamente popolata; 1000 ettari di bosco che nella metà del secolo scorso vengono trasformati dai contadini del posto in bellissimi agrumeti; 1500 extracomunitari impiegati nella raccolta stagionale degli agrumi; 150 euro al mese il corrispettivo dovuto per vivere in 50 in baracche fatiscenti di tre metri per tre, dal tetto sfondato e riparato con teli di plastica,senza servizi igienici né acqua corrente; 25 euro al giorno l’incredibile salario percepito dai lavoratori, e 12 ore l’ammontare della giornata lavorativa dei braccianti; a seguito degli scontri tra rosarnesi, africani e forze dell’ordine, 53 feriti; 2 milioni di euro la cifra stanziata per la costruzione di 150 posti letto, opera mai iniziata; e 10 i container con bagni e docce,costati 250.000 euro,e non ancora messi a disposizione dei migranti.
Poi l’accaduto: in un vecchio stabilimento industriale in disuso, la “Cartiera”, e in un’ altra struttura, l’ex “Opera Sila”, vivono, in condizioni igieniche e sanitarie pietose, alcune migliaia di africani, lavoratori stagionali negli oliveti e negli agrumeti della Piana. Arrivano da ogni regione dell’Africa, spesso sono senza documenti, o in attesa di averli. Sperano di trovare in questo estremo lembo del sud Italia la possibilità di svolgere un massacrante e sottopagato lavoro stagionale, continuamente stimolati dai soprintendenti e percossi se il ritmo di lavoro rallenta. Non hanno scelta, né alternativa, e la sera, al rientro nei tuguri, solo stanchezza e disperazione. Accendono un fuoco, per sopravvivere al freddo della notte, mettono a bollire un pentolone d’acqua e semolino. Sono denutriti, il 90% del loro pasto è costituito da arance, quel che hanno in più proviene dalle opere di carità che pur esistono in città e in qualche modo li sostengono. Sono pacifici, nella maggioranza dei casi, anzi hanno paura perfino di camminare per la strada, perchè in giro ci sono ragazzi che per puro divertimento tentano di spaventarli e aggredirli. Rosarno è purtroppo il centro, il cuore e il comando della ‘ndrangheta calabrese. Il degrado in città è visibile, l’associazione ‘ndranghetista si arricchisce enormemente lasciando devastato il territorio dove opera . E alcuni dei rampolli delle famiglie mafiose più in vista nella zona sono proprio coloro che si divertono a giocare al tiro al bersaglio umano, oppure rapinano dei loro poveri risparmi i più disperati fra i poveri.
Gli africani a più riprese si ribellano ma in maniera pacifica, chiedono l’intervento del sindaco, o addirittura dello Stato, dimostrando di possedere senso civico,molto più di quelli che preferiscono rimanere asserviti e silenziosi di fronte alle ingiustizie perpetrate dai mafiosi.
Si rifiutano di essere i martiri della ‘ndrangheta e della nostra società cosiddetta civile, così, dopo l’ennesimo ferimento di uno di essi, colpito da sconosciuti di ritorno dai campi, protestano, stavolta con violenza, e nascono degli scontri con le forze dell’ordine. La ribellione degenera fino a portare alla distruzione di alcune vetrine di negozi ed automobili; allora, a rivoltarsi sono i rosarnesi, i quali mandano all’ospedale diversi africani. I riflettori dei media si accendono d’improvviso su questa vicenda e così la notizia della rivolta arriva sulla stampa nazionale, ed internazionale, la quale non esita a definire l’Italia “un Paese unito dal razzismo”, e da più parti arrivano condanne: dalla Santa Sede, dall’ ONU, dall’Egitto….
Come primo provvedimento, migliaia di immigrati vengono trasferiti di gran fretta nei CPT di altre città, spesso senza un soldo e senza aver potuto riscuotere i compensi arretrati. Un vero esodo che lascia amare polemiche dietro di sé.
A quasi un anno di distanza, nulla nella Piana sembra essere cambiato. La stagione della raccolta è già arrivata, centinaia di lavoratori si stanno riversando nella Piana, e nessuno dei provvedimenti ideati dalle Istituzioni per far vivere dignitosamente i lavoratori è stato messo in atto, causa impedimenti burocratici o solite infiltrazioni di malaffare. Si continuerà a vivere nei fatiscenti locali in disuso, si tornerà a lavorare in condizioni disumane e indegne di una società civile, e intanto, noi ci delizieremo a tavola con le clementine e le arance sanguinanti della Piana.
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