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Di seguito le dichiarazioni dell’Assessore Eduardo Lamberti-Castronuovo:
Coltiviamo la cultura!
Non sono intervenuto, fino ad oggi, nella valanga di dichiarazioni, ricette, raccomandazioni, tutte rivolte a suggerire il modo per evitare il ripetersi le tristi vicende che, in questi giorni, richiamano l’opinione pubblica sul tema della violenza, soprattutto quella sulle donne ed, in questo caso, spinta al massimo del disgusto perché perpetrata in danno di una giovinetta minorenne, da un gruppo di delinquenti, nella forma più nauseante, che è quella del ripetuto stupro anche di gruppo.
Ne ho sentite tante. Non entro nel merito perché non credo né nelle manifestazioni di piazza, nè nelle dichiarazioni improvvisate. Non ho la ricetta neppure io, ma mi limito a fare delle osservazioni che sottopongo all’attenzione di chi non si esalta, a guisa di colui che applaude sempre e comunque, qualsiasi cosa l’oratore dica.
Oggi, ahimè, viviamo nell’epoca della “sindrome dell’applauso”. Quello stato patologico che non consente uno spirito critico, ma un consenso immotivato, sempre e comunque, a prescindere dalla qualità di ciò che si dice e si fa. Non solo in politica, dove uno parla e gli altri assentono, ma anche nello spettacolo. Un tempo, quando un tenore steccava ,veniva fischiato senza pietà . Oggi ,una nota fuori posto o un “raglio” scatenano solo e soltanto applausi. Tal dei tempi è costume. Incultura diffusa? Pressappochismo? Assuefazione? Fate voi.
Ma veniamo al fatto specifico.
La violenza é violenza, da chiunque venga praticata. Perché l’appartenenza ad una cosca mafiosa richiama di più la pubblica opinione e addirittura le istituzioni ? Perché si dá spazio a dichiarazioni a piovere, quando lo stupratore é un rampollo di famiglie in odore di ‘ndrangheta ? Perché gli si riconosce una sorta di superiorità sociale che dovrebbe imporgli un comportamento , per così dire, irreprensibile ? Il delinquente é delinquente. Punto e basta. A chiunque appartenga. Mi sorge il dubbio che l’onorata società, nell’immaginario collettivo, non sia costituita da una masnada di reietti, ma da uomini irreprensibili ,che toglierebbero ai ricchi per dare ai poveri o che rispetterebbero donne e bambini!! Per carità , la favola della “giustizia alternativa” non trovi alcun albergo nelle nostre menti!
Il termine “onorata” è davvero una appropriazione indebita! A tutti gli effetti.
Perché, dunque, scendere in piazza ora, e non farlo quando casi analoghi o, addirittura finiti in tragedia peggiore, accadono ? Non mi risulta che per la povera Gambirasio, la popolazione sia stata invitata dalle istituzioni a scendere in piazza!
E comunque, non bisogna dare al delitto una dignità, si fa per dire, differente, a seconda di chi lo commette. La condanna, l’indignazione, le invettive non servono a nulla.
Anzi, nelle menti perverse, che vanno al di là dei nostri parametri , costituiscono motivo di promozione della mafiositá, quasi a riconoscerle una sorta di potere sociale. Come quando si afferma che quel tale delitto non si sarebbe potuto commettere, senza l’autorizzazione del boss della zona. Sarà vero, ma perché riconoscerlo? Perché fare da cassa di risonanza di questo maledetto cancro ad alta diffusione? Se ne occupi chi di dovere, in silenzio ma, inesorabilmente.
A noi, che non siamo forze dell’ordine o magistrati, un compito preciso. Prevenire. Attraverso i mezzi di cui disponiamo. Si può pensare che tra i giovani che si impegnano a suonare uno strumento musicale, che fanno teatro come quello dei Semplici e dell’Officina, che frequentano le comunità, come quella di Don Valerio o di Don Massimo, solo per citarne alcune delle centinaia esistenti sul territorio, possa mai crescerne uno che usi violenza ad una povera ragazza? O che commetta un qualsivoglia delitto?
Allora, si impegnino le risorse , anche fisiche ed intellettuali , a promuovere ogni forma di cultura. Coltiviamola! Apriamo, finanziando i teatri, i campi sportivi, i luoghi di aggregazione , contrapponiamo al branco, un banco di scuola, un palcoscenico, una palestra! Tralasciamo le manifestazioni che lasciano il tempo che trovano, se non quello di costruire passerelle inconcludenti anche per chi sfila. Niente più parole, neppure le mie, ma fatti.
Certo, una cosa dobbiamo farla. Dobbiamo chiedere scusa, cospargendoci il capo di cenere, alla giovinetta di Melito. Non l’abbiamo saputa difendere! Ora, niente condoglianze, ma azioni che le consentano di vivere una vita normale. Che le ridiano fiducia in una società malata in parte. Comincio io. Le offro, se vuole, l’opportunità di lavorare, con dignità e secondo le sue idoneità. Fatti, non strette di mano, per farsi vedere dai parenti del defunto, per poi correre via il più presto possibile, come nei funerali.
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