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Leggermente ridotta in appello la pena all’uxoricida di Masella. Al termine del processo celebrato, nella giornata di ieri, davanti al Tribuanle di Reggio Calabria, a Francesco Manti sono stati inflitti 14 anni e 8 mesi per l’omicidio di Orsola Nicolò. La conferma della sentenza della condanna a 15 anni e 4 mesi, scaturita in primo grado, era stata invece richiesta dal procuratore generale, Francesco Scuderi. In difesa dell’imputato sono intervenuti gli avvocati Nico D’Ascola e Franco Azzarà.
L’omicidio di Orsola Nicolò, datato 19 settembre 2008, è avvenuto all’interno di un quadro di forte litigiosità familiare. Fallito ogni tentativo di mediazione, il matrimonio si era dissolto nel nulla e marito e moglie erano giunti alla separazione. Nulla si era però modificato neppure dopo la rottura dei rapporti. La situazione era andata sempre più peggiorando e neppure la presenza dei figli era valsa a rasserenare l’ambiente. I litigi erano quasi all’ordine del giorno. Al culmine dell’ennesimo, durissimo, battibecco, un raptus omicida si era impossessato di Francesco Manti. Accecato dall’ira aveva impugnato una pistola ed aveva premuto ripetutamente il grilletto. La moglie aveva intuito il pericolo e tentato di scappare per le scale della loro casa di Masella. Tutto inutile. Colpita al corpo dalle pistolettate, la donna era crollata per terra. Accanto a lei, con gli occhi sgranati dal terrore, c’era la figlioletta più piccola. Il suo carneade aveva immediatamente imboccato la via della fuga, trovando un nascondiglio sicuro nel ventre delle montagne che si trovano alle spalle di Montebello Ionico. Quando erano sopraggiunti i carabinieri della stazione di Saline Ioniche e della compagnia di Melito Porto Salvo, di Francesco Manti. autista dell’Atam, non c’era traccia. Agli inquirenti era bastato pochissimo per rendersi conto di quanto era accaduto. La pista della tragedia consumata in famiglia era stata imboccata senza alcuna incertezza. Le ricerche, avviate su tutto il territorio, erano state successivamente concentrate proprio sui contrafforti dell’entroterra. Nonostante l’enorme pressione esercitata dalle squadre che lo stavano braccando, Manti era comunque riuscito a restare uccel di bosco per circa una settimana. Alla fine, stanco e demoralizzato, aveva deciso di consegnarsi ai carabinieri. In sede di interrogatorio aveva poi ammesso le proprie responsabilità.
La trafila giudiziaria inaugurata con il giudizio di primo grado, nel mese di settembre del 2009, aveva portato alla condanna dell’uxoricida a 15 anni e 4 mesi di reclusione. La sentenza era stata emessa a chiusura del processo celebrato davanti al gup del Tribunale di Reggio Calabria, Santo Melidona. L’arringa del collegio di difesa, composto dagli avvocati Nico D’Ascola e Franco Azzarà, aveva fatto scendere il sipario sul processo. I legali avevano rappresentato lo scenario di pesante conflittualità intrafamiliare e la condizione psico-ambientale da cui era scaturito il raptus omicida. Il gup aveva riconosciuto all’imputato le attenuanti generiche, dichiarandole equivalenti alle contestati aggravanti. Una condanna a 30 anni era stata invece richiesta dal pubblico ministero, Federico Perrone Capano. Il rappresentante della pubblica accusa, in occasione dell’udienza precedente, aveva parlato di premeditazione del delitto. Ad intervenire nell’udienza erano stati anche Giuseppe Cozzucoli e Giuseppe Trunfio, avvocati della parte civile e uno dei due difensori, Nico Dascola, che aveva sostenuto che parlare di premeditazione era assolutamente fuori luogo. Da qui la richiesta della concessione delle attenuanti generiche al proprio assistito.
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