Reggio Calabria, sala affollata alla Camera di Commercio per l’incontro “Fare business in Cina”

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Un miliardo e trecentocinquantamila milioni di abitanti, tassi di crescita a doppia cifra, duecento milioni di nuovi ricchi nel 2015 (secondo Forbes i miliardari sono passati, nel giro di un anno, da 69 a 115) disposti a spendere soldi per avere prodotti di qualità. È la Cina, il primo polo d’attrazione dei capitali mondiali. Il primo mercato del mondo.

Agroalimentare, meccanica, ambiente, moda: molti sono i settori interessanti per gli imprenditori italiani, ma gran parte delle nostre imprese, piccole e medie, ancora oggi non conosce le opportunità offerte dal mercato cinese e quali siano gli strumenti da utilizzare per operarvi senza rischi.

«Accompagnare le imprese sui mercati esteri significa fornire loro un cassetta con tutti gli attrezzi utili per operare in quel determinato contesto economico. Significa aiutarle a progettare una strategia, che presuppone soprattutto conoscenza del paese in cui si vuole entrare, del suo mercato e delle sue regole, delle potenzialità e delle criticità» ha dichiarato Antonio Palmieri, segretario generale della Camera di Commercio di Reggio Calabria aprendo l’incontro “Fare business in Cina: come muoversi tra istituzioni e mercato” che si è tenuto mercoledì 23 novembre 2011, presso il Salone della Camera di Commercio di Reggio Calabria. Promosso dall’ente camerale reggino, il seminario rientra nel roadshow che, coordinato dal Ministero dello sviluppo economico, è volto a fornire le conoscenze e gli strumenti necessari per operare efficacemente sul mercato cinese.

Il Paese di mezzo non è per tutti e quando si decide di fare affari in Cina è necessario tener conto delle differenze geografiche, linguistiche e culturali, come affermato dall’avvocato Junyi Bai, rappresentante della Camera di Commercio italocinese. All’individualismo occidentale corrisponde il collettivismo, alla drasticità l’equilibrio e la mediazione.
Per fare affari in Cina la strada migliore è quella di utilizzare organizzazioni che hanno esperienza di negoziazione con questo paese o coinvolgere partner della comunità cinese in Italia. Bisogna fare sistema, costruire forme di aggregazione: si diminuiscono costi e rischi. Partecipare a fiere, cercare partnership, farsi assistere da soggetti specializzati quali ad esempio le strutture del sistema camerale, scegliere il foro competente e la legge applicabile (italiana o cinese), quindi stabilire i tipi di contratto e la forma societaria: sono solo alcune delle azioni di una corretta strategia di penetrazione del mercato cinese.
Un passaggio nodale di una corretta strategia per chi decide di investire in Cina è la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, di azienda e di prodotto (marchi, brevetti eccetera).
In Cina, c’è fame d’Italia. E il prodotto italiano si vende e molto bene. Aziende cinesi si travestono da aziende italiane, dandosi nomi italiani, creandosi una storia e vendendo prodotti cinesi, al 100%, a prezzo italiano. E quanto affermato dall’ing. Giovanni de Sanctis, responsabile del desk per la tutela della proprietà intellettuale di Pechino (IPR Desk) che, istituito dal Ministero dello Sviluppo economico, fornisce alle aziende italiane servizi di informazione e orientamento sul sistema cinese di protezione dei diritti di proprietà intellettuale e consulenza legale sulla tutela dell’immagine aziendale e di prodotto.
Due sono le alternative possibili per garantire un’adeguata protezione: l’estensione della protezione del marchio internazionale anche nel territorio cinese o il deposito di un marchio nazionale in Cina.
La Cina ormai da anni sta perfezionando la sua legislazione in materia di marchi e cresce sempre di più il numero dei depositi di brevetti, marchi ecc.: nel 2010 il numero totale di domande di deposito (brevetti, invenzioni, marchi eccetera) ha raggiunto quota 1,2 milioni, di cui oltre il 90% attribuito ad aziende e/o inventori cinesi. Sempre lo scorso anno sono state più di 42.000 le cause legali in materia di proprietà intellettuale, la maggior parte delle quali ha coinvolto aziende cinesi (solo il 3,2% delle imprese straniere).
Quando si decide di proteggere un marchio si deve affrontare la traslitterazione del nome dalla propria lingua a quella cinese, tenendo conto del significato che avrà in cinese.
Un caso per tutti: Coca Cola traslitterato in ideogrammi se pronunciato ha un suono simile al nome europeo ma il significato è “ho sete di felicità”.

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Author: Cristina

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