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A cura di Art Academy Artelis e Citta del Sole Edizioni sarà presentato sabato 28 febbraio alle ore 17.30, a Gallico Superiore, in via Anita Garibaldi 245, il volume di Giuseppe Falcomatà “Un bicchiere di sole”. Interverranno, Elmar Elisabetta Marcianò, Presidente dell’Associazione LiberArché, Franco Arcidiaco, Editore della “Città del Sole”, il giornalista Giorgio Neri e l’autore Giuseppe Falcomatà.
E’ il secondo lavoro del giovane Sindaco di Reggio Calabria. Un romanzo tenero e delicato. Storia molto intima che si dipana lungo un intenso dialogo tra l’autore ed il suo io. Un dialogo in cui emergono con spontaneità pregi e virtù di un giovane professionista dei tempi nostri. La città è Capo del Sole, nella quale non è difficile, però, trovarci la Reggio che conosciamo, con la sua straordinaria bellezza, i suoi problemi, le sue difficoltà, l’assenza, o per meglio dire, l’indifferenza delle istituzioni. Il “palazzo”, la casa della politica, distratto, e cinico anche di fronte al dramma di un bambino disabile. Uno dei tanti, potremmo dire. Una indifferenza che spesso viene definita “macelleria sociale”. Termine spesso presente in molti articoli di stampa dedicati al sociale, ma non sempre in grado di rappresentare il dramma che c’è dietro ogni singola vicenda. Un bambino che per andare a scuola, godere del suo primario diritto all’istruzione, peraltro garantito dalla Costituzione italiana, è costretto ad essere accompagnato ed assistito quotidianamente dalla madre, perché le “istituzioni”, il Comune di Capo del Sole, non è più in grado di assicurare quel servizio.
Un avvocato dal rapporto, a prima vista, sbadato con il suo lavoro. Ma è solo una apparenza. La vicenda di Samuele, questo il nome del bambino, è un vero e proprio assillo, un pensiero forte e ricorrente nella mente dell’avv. Fabio Aquilani, il protagonista della storia. “Pensavo a Emma, a Samuele, e ancor più inspiegabilmente pensavo a lei”. Samuele diventa il problema dei problemi. Niente a che vedere con le altre pratiche di cui si occupa lo studio: le morosità reclamate dal signor Canari, “il cliente più affezionato” e l’ingiunzione di sfratto alla sua inquilina morosa, signora Cataldi.
In mezzo, tanti momenti di vita quotidiana, più che normali per un trentenne, tra partite di calcetto, cene e chiacchierate con gli amici, amori finiti, ricordi, rimpianti, sensi di colpa e la ricerca edonistica di un “consenso” che dia la forza giusta per “guardare avanti”. Infine, la famiglia, dove si respira l’aria protettiva dell’affetto e di una attenzione particolare ed esclusiva, che non trascura nessuno. Patrimonio di una figura paterna che non c’è più, ma solo fisicamente. Una presenza costante nel libro, richiamata più volte lungo l’evolversi degli eventi, mai banali, ma distanti tra loro. Una punteggiatura autobiografica che dall’immaginario avvocato “Aquilani” conduce con naturalezza a Giuseppe Falcomatà, ed il suo più importante punto di riferimento: il padre Italo. Una figura mancata troppo presto; maledettamente troppo presto, che nonostante tutto è riuscita ad imprimere un “marchio di fabbrica” nel suo giovane figlio. Sono molte le domande che Aquilani-Falcomatà si pone ricordando il padre: “cosa avrebbe detto; cosa avrebbe fatto”. Interrogativi che nulla hanno a che vedere con il rapporto professionale tra Fabio ed Emma. Hanno a che fare con la realtà, con la vita dell’autore, che nel racconto affida ai lontani ricordi di “Aquilani” i momenti più belli, forse i più intensi vissuti col padre: “l’eredità” di tanti libri, “il valore del sapere e della conoscenza” che gli consegna come patrimonio immateriale da sfruttare per il suo avvenire, i consigli ed i suggerimenti nei suoi studi di liceale.
Il finale, assolutamente inatteso, si svela solo nell’ultima pagina.
Il libro si chiude con una frase premonitrice: “Pensa cosa sarebbe il mondo se ognuno, nella storia, si fosse fermato al primo lascia perdere”. Giuseppe Falcomatà non lo ha fatto.
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