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Riceviamo e pubblichiamo:
Nell’ambito della costante azione svolta dalla scrivente associazione a tutela dell’ambiente si notava che sul terrazzo dello stabilimento industriale “Italicitrus”, ubicato in località Fontanelle di Catona (RC) un tempo utilizzato per la trasformazione degli agrumi era stato collocato un parafulmine di tipo radioattivo, presumibilmente di marca “HELITA”.
Lo stabilimento industriale costituito da ampi capannoni e fabbricati versa in stato di abbandono e di forte degrado, lo stesso è dotato di copertura di eternit in cattivo stato di conservazione, che di conseguenza rappresenta una minaccia letale per l’uomo.
Con riferimento al parafulmine di tipo radioattivo, c’è da dire che dal 1981 la presenza di materiale radioattivo in parafulmini è considerato rischio indebito per la popolazione, e dalla data su-indicata ne è stata vietata l’installazione. Detti impianti sono stati largamente utilizzati dal 1950 in poi. A partire dagli anni 70, infatti, sono stati installati su tutto il territorio nazionale parafulmini a testata radioattiva, per lo più sopra edifici pubblici.
Allo stato, tali impianti risultano quasi sempre in condizioni di abbandono o dimenticati e privi di qualsiasi manutenzione e controllo, pertanto esiste il rischio rappresentato dalla possibilità che le sorgenti radioattive, parte importante dell’impianto stesso, possano disperdersi nell’ambiente e costituire pericolo per la popolazione. Bisogna, infatti, tenere presente che, per l’occhio umano, non esiste alcuna differenza tra materiale inattivo (metallo) e lo stesso materiale radioattivo: il loro aspetto può essere identico.
I dispositivi di cui sopra, impieganti elementi radioattivi, erano stati immessi sul mercato come anzidetto soprattutto negli anni 60-70 ed erano basati sul principio di attirare i fulmini sulla punta del dispositivo scaricandoli a terra attraverso il relativo collegamento, per effetto della ionizzazione dell’aria prodotta dalle particelle alfa emesse dalla sorgente radioattiva.
Le caratteristiche indicate dai costruttori, tra cui il raggio di azione della protezione antifulmine compreso tra i 150 e 300 metri costituiva un vantaggio tecnico ed economico rispetto agli altri sistemi di protezione ( a maglia o ad asta). Col tempo alcune situazioni dimostrarono l’inefficacia di tali dispositivi. Alcuni fulmini avevano colpito e danneggiato la struttura protetta dal dispositivo radioattivo e a volte anche l’asta di sostegno dello stesso. Tali episodi costrinsero le Autorità centrali a pronunciarsi sull’argomento e a segnalare il rischio per la popolazione.
Nel 1996 il Ministero della Sanità ha segnalato a tutte le Regioni l’opportunità di verificare lo stato di sicurezza dei dispostivi antifulmini impieganti sorgenti radioattive, eventualmente ancora installati sul territorio nazionale.
Circa l’obbligo di eliminare il parafulmine, tale obbligo non esiste se il parafulmine è integro e non produce contaminazione e quindi non costituisce pericolo per l’ambiente. E’ però necessario che il detentore instauri un programma di sorveglianza a mezzo di un Esperto Qualificato.
Alla luce di quanto sopra esposto, nel ricordare che la Calabria è la prima Regione d’Italia per incidenza di leucemie, proprio le leucemie che sono determinate per la presenza di radiazioni, si invitano le istituzioni competenti a voler disporre le opportune verifiche per accertare se il parafulmine in questione costituisce pericolo per l’ambiente e quindi corre l’obbligo di rimozione e che si provveda con l’ urgenza che il caso richiede alla rimozione dell’eternit posto a copertura dei fabbricati che stante il cattivo stato di conservazione rappresenta un pericolo reale, concreto e grave per la salute pubblica, soprattutto in considerazione che l’immobile ricade nel centro abitato.
Vincenzo CREA
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