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Riceviamo e pubblichiamo:
Si era appena chiusa la campagna elettorale delle regionali in Calabria. Il 28 novembre Renzi passa come una freccia da Reggio e sceglie per la sua visita lampo il palcoscenico delle ex Omeca, il fiore all’occhiello della città, stabilimento industriale di eccellenza che sforna treni e metropolitane per mezzo mondo. L’incontro ha valenza solo simbolica. Sindaco della città e Presidente della Regione, neo-eletti, sembrano tranquilli, ma in vicinanza, un po’ in ombra, con espressione piuttosto scura, si intravede un manager molto noto, un certo Mauro Moretti, dal trascorso giovanile nella dirigenza della CGIL, diventato con gli anni un perfetto esecutore di politiche neo-liberiste. Ha trasformato le FS trattandole come un padrone di altri tempi, rispondendo solo alla logica delle finanze, delle grandi opere e dell’impoverimento generalizzato dei servizi ferroviari regionali ed interregionali. Facile fare il capitalista con una impresa di Stato, con finanziamenti governativi garantiti e con un lauto stipendio. Ad Aprile 2014 costui si era infuriato per l’annuncio di Renzi di severi tagli agli stipendi dei manager pubblici e aveva minacciato di andarsene all’estero se i suoi 873 mila euroannui fossero stati ricondotti sotto quota 300 mila. A maggio, Renzi lo premia e lo nomina managerdi Finmeccanica, altro colosso industriale di Stato, con un contratto da 920 mila euro fissi l’anno (più 160 mila di retribuzione “variabile”) e Moretti annuncia subito una politica “improntata all’austerity” (per gli altri). Ma forse nessuno dei politici presenti aveva capito, quel 28 novembre, che la passerella era fine a se stessa.
Non sono emersi impegni concreti per il futuro come chiedevano i lavoratori e la città, non si è siglato alcun documento programmatico. Moretti aveva già il suo piano in mente, affatto nascosto; già ad ottobre aveva preannunciato l’idea di vendere ad imprese dell’Estremo Oriente il comparto produttivo Ansaldo (Breda e STS). Ma a che pro? A quale prezzo? A vantaggio di chi?
Ufficialmente l’obiettivo è tagliare un settore ritenuto una palla al piede (si diceva di un comparto in perdita) e concentrare l’impegno di Finmeccanica totalmente nei settori dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza (con una voce rilevante, peraltro, in un ambito che non fa molto onore all’Italia, quello delle armi da guerra). Ma, contrariamente alle voci diffuse ad arte, nel 2014 l’azienda ha chiuso i bilanci con un Risultato Netto Ordinario (ovvero un utile) di oltre 700 milioni di Euro e perfino il comparto Trasporti registra bilanci in attivo. D’altra parte, in una famiglia ordinaria e sana, specie se di Stato, tutti contribuiscono al reddito e i più forti sostengono i più deboli nei momenti di difficoltà. Dovrebbe tranquillizzare ulteriormente il fatto che il portafoglio di ordini è di tutto rispetto, aggirandosi attorno ai 37 miliardi di Euro. Propongo ulteriori considerazioni per i lettori.
Se l’azienda va bene che motivo c’è di vendere? E se, invece, è vero che l’azienda va male, perché mai i giapponesi di Hitachi dovrebbero farsi prendere per i fondelli?
Lo Stato rimane azionista di maggioranza in Ansaldo o lascia il campo? Se rimane tale dovrebbe imporre delle forme di garanzie per l’impresa (pretendere investimenti in Italia, impegni di Hitachi a non delocalizzare né gli stabilimenti né la struttura di progetto e gestione, mantenimento dei livelli occupazionali e dei redditi, ecc.); se non rimane tale, le stesse cose dovrebbero essere pretese a maggior ragione.
Alstom in Francia, Siemens in Germania, Hitachi e Kawasaky in Giappone, Bombardier in Canada, sono industrie ferroviarie apertamente sostenute dai rispettivi governi, in forme non tanto velate, aggirando le regole del libero mercato; perché mai l’Italia dovrebbe rinunciare a giocare la partita di quello che potrebbe essere, nel prossimo futuro, uno dei più interessanti comparti produttivi ad uso civile? Perché mai dovremmo far passare l’idea che qui si fa assistenza e che i manager giapponesi siano garanzia per il futuro perché più in gamba? Il Giappone vive una crisi senza precedenti da un decennio e sopravvive grazie anche allo sfruttamento esasperato dei suoi dipendenti e di manodopera sparsa in paesi terzi più poveri.
In un mercato globale ed esasperato come quello odierno, difficilmente Hitachi farà filantropia in Italia; intanto non è detto sia interessata al settore dei treni (AnsaldoBreda), dato che il segmento in cui è leader internazionale è quello delle monorotaie; potrebbe invece essere più indirizzata a rilevare il know how di primo ordine nelle tecnologie di segnalamento (STS) suscettibile di applicazione anche in altri comparti industriali e, una volta acquisito, magari trasferito in altra area del pianeta (leggi delocalizzazione). L’anello debole sarebbe dunque proprio AnsaldoBreda e, va da sé, l’Ex Omeca.
La capacità di reazione sociale in Calabria è molto debole. Chi garantisce contro i rischi che si profilano con quella che potrebbe essere una vera e propria forma di privatizzazione e svendita di un’industria di Stato, con conseguenze sull’economia e sull’occupazione devastanti?
Ci sono ancora, forse, i margini per una trattativa serrata che garantisca l’industria, i lavoratori, la Calabria. Non c’è un giorno da perdere. Falcomatà, Oliverio, gli amministratori assumano le proprie responsabilità, prima che sia troppo tardi.
Domenico Gattuso
Ordinario di Trasporti, Università Mediterranea di Reggio Calabria
Presidente CIUFER, Coordinatore Associazione “Altra Calabria”
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