Reggio Calabria, il 18 febbraio Personale di Irene Sitibondo

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Il segno, il volto, la maschera. Personale di Irene Sitibondo

Nota critica di Gianfranco Cordì

Vernissage sabato 18 febbraio 2012 ore 19.00

c/o Spazio Culturale Nonsense

via pio XI dir. priv. 33

Reggio Calabria

NB: di seguito nota critica e curricula dell’artista

Il segno, il volto e la maschera.

Tutto ciò che è profondo ama la maschera ha scritto Friedrich Nietzsche. In questo senso, ogni cosa dotata di significato si traveste, si trucca, moltiplica le proprie facce in una composizione ed in una scomposizione che non ha fine. Le opere di Irene Sitibondo tra costumi, opere pittoriche ed assemblage, rispettano questa regola per mettere in scena, alla fine, la figura della donna in tutta la sua femminilità e identità di genere definita.
Attraverso il segno che può essere interpretato ora come tessuto ora come tela, l’artista reggina cerca il volto ed arriva alla maschera. Il percorso determinato in questo mondo costituisce uno scavo all’interno della personalità della donna che è, poi, a conti fatti uno scavo nelle profondità della personalità della stessa artista.

La Sitibondo sceglie di raccontarsi attraverso le proprie opere. E così, in maniera narrativa vediamo emergere dei corpi, dei visi, dei sorrisi, delle fogge, dei costumi, degli specchi, degli atteggiamenti. Tutto un universo in via di conformazione che centra la propria attenzione sulla donna in quanto microcosmo di segni. Siamo in presenza di una vera e propria semiosfera all’interno della quale, grazie a determinati indizi ricostruiamo il genere femminile e, per derivazione, anche il volto della stessa pittrice. Così che alla fine la Sitibondo ci regala la propria immagine attraverso l’arte, nella convinzione che solo raccontando se stessi si riesce a cogliere quel frammento di cosmo, di realtà, di verità, che ad ognuno di noi sta davanti e che ognuno di noi è chiamato a vivere e custodire.

Si diceva di una certa profondità: la maschera (dell’arte e del racconto) rivela degli abissi che si fanno evidenti attraverso il segno. Si realizza in questo modo una forma che nella propria esteriorità manifesta direttamente la psiche, il profondo, l’interno. Tutto il discorso però è filtrato attraverso l’uso di diversi linguaggi. In primis, quello dell’arte. Per secondo quello del mezzo espressivo usato (la tela o la stoffa). Per terzo l’atteggiamento, la movenza, il segno rappresentato. In questo senso, l’uso di questi tre stilemi ci conduce dentro una triplice voragine, che sono poi i tre limiti, o i tre confini, dello scavo.

L’opera di ricerca, che come diceva Popper non ha fine si arresta solo, per la Sitibondo, alla maschera, alla rappresentazione che, in se, dovrebbe essere sia finzione che verità. Siamo così condotti dentro un paradosso che è poi quello tipico del voler raffigurare la donna e comunque l’essere umano. L’ambiguità di fondo, il chiaroscuro, le mezze tinte. L’impossibilità di un pensiero unico. Nella consapevolezza che l’esteriorità potremmo dire, la superficie, rappresenta immediatamente l’interiorità ci troviamo nei pressi di una maniera di raccontare e di raccontarsi, veramente letteraria.

Ed ecco che le opere della Sitibondo diventano romanzi, racconti, poesie, saggi, critiche, aforismi, sentenze, frasi, aneddoti, biografie. L’artista ha scelto di raccontarsi attraverso altre donne e altri abiti da donna per esprimere il senso di un vissuto, di un esistenza, di una traccia. Ma se, come diceva Derrida, l’essere stesso è oramai così scarnificato da essere diventato, esso stesso, una traccia, in queste opere abbiamo un racconto metafisico. Un racconto che ci descrive le scaturigini stesse dell’essere umano e del suo mondo. Una metafisica dell’immediato, del presente, dell’evidente. Ma che nello stesso tempo, è una metafisica del profondo. Siamo in un mondo di fenomeni, in un mondo in cui conta ciò che appare: la Sitibondo che ha iniziato a dipingere nel 1976 schiaccia la figura della donna nella sua manifestazione. Non ci sono metafore, analogie, rimandi nelle opere della Sitibondo, tutto è immediatamente evidente. Jean Paul Sartre diceva: “L’uomo è ciò che fa. Dunque se non fa nulla di grande e di grandioso non vale niente”.

E’ l’apoteosi della vita attiva sulla vita contemplativa. L’uomo è un progetto libero e l’esistenza precede l’essenza. La metafisica della Sitibondo diventa esistenzialistica ed assume toni che sono molto vicini alle problematiche dell’uomo attuale. Per Kierkegaard l’esistenza si articola in diversi stadi il primo dei quali è quello estetico. L’esistenza in quanto possibilità si esprime fin da subito nel bello, nel decoroso, nell’armonico. E siamo giunti alla fine del percorso della Sitibondo che mette in scena il primo stadio dell’esistenza, quello estetico nella consapevolezza che quella possibilità libera, che è la donna si possa esprimere oggi nelle linee, nel contorno, nei segni di un discorso artistico. Maschera e Segno, dunque, e nel mezzo il volto che per un filosofo che l’ha studiato a lungo, ci preannuncia già la presenza dell’altro. Attraverso la stoffa e la tela e attraverso il volto siamo dunque arrivati all’alterità, alla differenza, al contatto, al rapporto, al legame con l’altro. Questo altro che ci conduce fuori da una narrazione strettamente autobiografica (quella della Sitibondo stessa) verso un apertura, una chance, un avvicinamento. Che, in qualche modo, prelude a un’altra maschera ed a un altro segno. Ma che ci manifesta l’emergere di una condizione più universale rispetto a quella relativa ad un singolo essere umano. Che è poi la condizione della condivisione di un identico destino.  Gianfranco Cordì

Irene Sitibondo è nata il 4/7/1962 a Reggio Calabria dove risiede e lavora. Diplomata presso il Liceo Artistico di Reggio Calabria e presso l’Accademia di Belle Arti della stessa città, in pittura e scenografia. Docente di discipline pittoriche presso il Liceo Artistico di Reggio Calabria.

Ha esposto, sin dal 1976, nell’ambito di mostre collettive e personali di pittura: Milano, Messina e Reggio Calabria, ricevendo consensi e diplomi.

E’ stata  recensita da: Xante Battaglia, Guido Malvaso, Nicola Villari, Franco Greco, C. Saltalamacchia, Giuseppe Livoti, Antonietta Mamone, Gianfranco Cordì, Katia Colica, Mimma Giordano, Domenico Cacciola, G. Paolo Manfredini, Giovanna Turano.

Si sono interessati di lei le testate giornalistiche: Artecultura, Calabria Ora, la Riviera, Gazzetta del Sud, Calabria 2000, Calabria Stop, Orizzonti Reggini, L’inchiesta, Domani Sud, La Rinascita di Calabria, Il Giornale di Calabria.

Mostre personali: Galleria Modigliani (RC), Palazzo del Comune di Locri (RC), Palazzo della provincia (RC), Galleria Leucò (RC)

Mostre collettive: Galleria Sever (MI), Galleria Il Grifo (RC), Galleria Perlini (RC), Associazione Culturale Arli, Sala Comunale (RC), Biblioteca Comunale (RC), Fiera Arte (ME), Sala Teatro Comunale (RC), Associazione A.R.C.I. (RC), Castello Ruffo di Scilla (RC), Palazzo del Comune di Scilla (RC), Festa del mare (Gallico,RC), Evento d’arte Metauriamente (Gioia Tauro, RC), Concetto Arte (RC).

Sfilate  :Teatro ATENA , Accademia tempo libero (RC)

Premi : Umberto Boccioni 1976, II Premio alla Festa del mare 2009.

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Author: Maria Cristina Condello

Maria Cristina Condello ha conseguito la laurea Magistrale in "Informazione, Editoria e Giornalismo" presso L'Università degli Studi Roma Tre. Nel 2015 ha conseguito il Master di Secondo Livello in "Sviluppo Applicazioni Web, Mobile e Social Media". Dal 2016 è Direttore Responsabile della testata giornalistica ntacalabria.it

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