Reggio Calabria, “Cavalleria Rusticana” e “Pagliacci” 2 opere e 2 successi per la stagione al Teatro Cilea

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Una lettura molto interessante delle opere “Cavalleria Rusticana” e “Pagliacci” vi è stata al teatro F. Cilea di Reggio Calabria, nei giorni 15 e 17 Aprile. Andando oltre la frivola critica, ci soffermeremo sugli aspetti tecnici ed emotivi della produzione che ha riscosso il  più grande successo di pubblico della stagione, al teatro reggino.

La regia, firmata da Alessio Pizzech, propone una visione anticonformista dei due capolavori del verismo musicale italiano. Una lettura incentrata sulla figura di Santuzza in Cavalleria Rusticana e di Nedda in Pagliacci, contrariamente alle tradizionali proposte tenor-centriche della tradizione operistica italiana. In particolare, la figura di Santuzza, magnificamente interpretata dal soprano Chiara Angella, ricorda per molti aspetti la Medea di Euripide, nella sua ossessione squisitamente drammatica e passionale.

Una Santuzza che è vittima volontaria di se stessa, che soffre nell’intimo della sua stanza (posta dal regista al centro della narrazione scenica) al solo udire il lieto scampanio della domenica di Pasqua. L’agnello pasquale non è, nella visione di Pizzech, Turiddu, che morirà per mano di Alfio, ma la stessa Santuzza, afflitta da grandi angosce esistenziali, probabilmente ancor prima di aver preso coscienza del tradimento del suo fiancé.

Molto interessante anche il ribaltamento della prospettiva religiosa voluta da Mascagni, che purtroppo ne involgarisce l’opera: i cori pasquali, nella regia di Pizzech e la sinergica direzione di C. Frattima, ha valenze quasi pagane, ed esprimono paradossalmente una religiosità semplice, libera, leggera, scevra dalla coltre devozionistica siciliana, voluta da Mascagni e dai primi registi. Non vi sono vecchi volti castigati dal senso di colpa, ma belle vestali in punta di piedi, quasi ad esprimere una pasqua serena, positivista.

La scenografia è stata curata da Michele Ricciarini e dal suo bravo assistente Domenico Baccellieri. I costumi ci appaiono poco coerenti, proponendo un melange ancor meno erudito e storicamente poco pertinente, di elementi “trasversali” della sicilianità, quali i cappelli a coppola, abiti di foggia tipicamente anni 90’ accanto a vestiti femminili anni 50 (indossati insieme a scarpe moderne).

Ricordiamo inoltre che negli anni 50, la figura del carrettiere era ancora presente in Sicilia, e vestiva una livrea tradizionale, ben lontana dalla giacca bianca proposta dalla costumista Cristina Aceti.  In Pagliacci, il minimalismo, la coerenza, il gioco luci (Valerio Alfieri) e la geniale trovata della “commedia” in marionette pagano, creano uno spettacolo di prim’ordine. Bene anche i costumi e gli elementi  fetish, che mostrano una visione un po’ suburb e third streem dell’opera Leoncavalliana, in perfetto accordo con la volontà dell’autore espressa in partitura.

Non appare lapalissiano, nel contesto, l’abbattimento della “quarta parete del teatro” , con i cantanti che si muovono liberamente in platea o si siedono sul bordo esterno del palcoscenico.  Per quanto riguarda gli interpreti, un particolare encomio a Chiara Angella,  dotata di eccezionale pathos, sopraffina tecnica di emissione e respirazione, straordinaria musicalità e consapevolezza artistica da vera primadonna.

Per niente provata dall’interpretazione di una travolgente Santuzza, ha regalato al pubblico reggino, nella seconda parte dello spettacolo, una delle più convincenti versioni di Nedda mai proposte. Di particolare importanza scenica ed interpretativo-musicale, il baritono partenopeo Carmine Monaco, che ha proposto un Alfio diverso. Un Alfio che quasi sembra essere vittima del proprio destino di carnefice. La maestria di Monaco in Pagliacci si evince in un Prologo scarno dai tradizionali stereotipi che violentano la partitura, scevro da inutili divismi, puro nella sua essenzialità.

Molto promettenti i giovani Marcello Rosiello, che ha interpretato un Silvio molto lirico, tecnicamente impeccabile e di grande pertinenza scenica, la soprano tessalonicese Kassandra Dimopoulou, una lola frizzante e maliziosa, dalla vocalità elegante e sobria. Brava anche Antonella Trevisan, veterana dell’opera italiana, nei panni di Mamma Lucia, una mamma straziata dal dolore, che esce dagli schemi classici di una mamma verghiana, contenuta e misurata nel dolore.

Ottima anche la prestazione del tenore  reggino Francesco Anile, che ha mostrato  come nell’aspetto recitativo il ruolo prima di Turiddu e poi di Canio  si addica proprio alla sua espressività,  facendo ancora meglio alla seconda recita.  Buona la resa, sia scenica, sia vocale, del coro lirico “F.Cilea”, diretto dal maestro B.Tirotta. Buona  anche la resa sonora e gli equilibri dell’orchestra sinfonica F.Cilea, che nonostante le pochissime prove, è riuscita ha sostenere un buon livello, ricordiamo che le opere in questione dal punto di vista musicale sono fra le più insidiose.

Ed infine, come non parlare della star nascosta, il ventiseienne Christian Frattima, che abbiamo scoperto essere reggino, anche se non residente in Italia, la sua bacchetta è vigorosa, tecnicamente ineccepibile e di rara chiarezza. Non vi sono movimenti non funzionali e fini a se stessi come ormai e’ da prassi, non vi e’ primadonnismo, solo consapevolezza, professionalità ed eleganza del  gesto. Si attesta perciò, uno dei più autentici talenti emergenti del golfo mistico italiano. Quindi, se essere direttori d’orchestra significa dirigere la musica verso qualcosa, la Sua direzione è oltre.

Oltre l’ordinario, il consueto, il già fatto. la direzione di Christian Frattima è brillante, emozionante, travolgente, avvolgente, in sintesi elettrizzante. Concludendo, uno spettacolo di grande livello artistico, che non eccede mai i limiti del buon gusto. Grande merito va riconosciuto a Serenella Fraschini, direttore artistico del teatro, che con caparbietà, determinazione e tanto sacrificio, è riuscita a realizzare una produzione unica e di tutto rispetto.

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Author: Cristina

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