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La constatazione che le centrali nucleari in Francia sono obbligate a ridurre il pieno regime di funzionamento perché la mancanza di piogge e la conseguente siccità stanno portando via l’acqua di raffreddamento, mostra quanto siano legate tra di loro la questione energia e la complessa partita della gestione pubblica/privata dell’acqua.
Se poi consideriamo che la Francia è prepotentemente inserita nella gestione delle acque calabresi attraverso il 47% che la potentissima Véolia possiede nella regionale SO.RI.CAL., ci rendiamo conto di cosa poteva accadere se il referendum sul nucleare e sull’acqua non avessero spazzato via ogni ingerenza ed interesse privati: il ministro dell’Industria, Romani, nonostante la fede antinuclearista del suo compagno di partito presidente Scopelliti, ha prodotto un decreto legge per favorire l’Enel e i petrolieri nella costruzione di centrali nucleari e, cosa più grave, ha abolito ogni sostegno pubblico alle energie pulite. Se il governo avesse imposto una centrale atomica alla Calabria, la SO.RI.CAL./Véolia avrebbe negato l’acqua di raffreddamento?
Intanto va detto che, non appena la Corte di Cassazione avrà notificato al governo nazionale i risultati dei referendum, il presidente della regione dovrà non solo abbandonare il sogno accarezzato di far versare dai comuni calabresi alla SO.RI.CAL. 160 milioni di euro con prestiti bancari garantiti dalla Regione.
Dovrà pure, immediatamente, sciogliere la SO.RI.CAL./Véolia, che non è più un soggetto legittimato a gestire l’acqua in Calabria; dovrà liquidare il socio di “minoranza” francese, e dovrà assumersi, con il concorso degli enti locali, la responsabilità piena della gestione disastrosa delle acque in questa regione, in cui sono in perenne costruzione 36 dighe (leggi circa 2 miliardi di euro, in barba ai precari), ne funzionano meno di un terzo, e metà dell’acqua potabile si perde nelle condutture fradice degli acquedotti mai risistemati.
Con buona pace della illegittima surrettizia campagna referendaria a favore del “no” pagata dalla Regione non meno di 100.000 euro con enormi manifesti affissi in tutta la Calabria. Risultato: Reggio, dove FLI ha chiesto 4 “sì”, è l’unica città calabrese in cui si è superato il quorum.
Chiuso il nucleare, tornerà alla carica il carbone. Dopo la questione acqua, il presidente dovrà vedersela con l’altrettanto arrogante provvedimento con cui il “suo” ministro dell’Industria ha varato in modo (a parer suo) definitivo la centrale a carbone di Saline Ioniche, sulla scorta di un vergognoso parere favorevole espresso dalla Commissione per la Valutazione di Impatto Ambientale del ministro Prestigiacomo, e contro gli unanimi pareri opposti espressi da Comuni, Provincia e Regione. E la Terna ci mette lo zampino col nuovo elettrodotto da 375 milioni da Rizziconi allo Stretto.
Considerato che la Calabria consuma un terzo dell’energia che produce, e la Sicilia all’incirca la metà, si precisa il disegno. L’elettricità prodotta devastando l’ambiente non deve alimentare l’industria che al Sud non c’è: deve essere trasportata altrove e lucrosamente venduta, sulla pelle del nostro territorio. Ma a Saline Ioniche ci sarebbe uno straordinario gioco di prestigio: prodotta col carbone, l’energia è di proprietà degli svizzeri.
E, se ci dovesse mai servire, dovremmo andarla a comprare in uno stato estero che non appartiene nemmeno all’Unione Europea, cioè nella Confederazione Elvetica: che si trova, come tutti sanno, sul mare Ionio, a 30 km da Reggio.
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