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“IL POTERE ECONOMICO E LE MAFIE”. Per il dodicesimo appuntamento, a Tabularasa, si dialoga con l’avvocato penalista Umberto Ambrosoli (figlio del noto avvocato Giorgio assassinato l’11 luglio del ’79), Flavio Tranquillo telecronista storico (Italia 1,Tele +, Sky Sport) dell’ NBA e l’assessore provinciale alla Cultura e alla Legalità Eduardo Lamberti Castronuovo.
Moderati come sempre dai padroni di casa Giusva Branca e Raffaele Mortelliti, alla “Luna Ribelle”, i protagonisti della serata hanno approfondito questo intenso rapporto tra potere economico e mafie, “un rapporto che c’è sempre stato e che, purtroppo, se non ci sarà un risveglio di coscienza collettiva continuerà a persistere”.
“Nonostante viviamo in un periodo non molto facile ma nemmeno più difficile degli altri, il senso di responsabilità è attuabile – esordisce Ambrosoli – A volte, ci lasciamo prendere dalla rassegnazione perché chi incarna ruoli istituzionali e dovrebbe dare buoni esempi, offre alla società esempi negativi e la prima reazione dell’individuo è di comportarsi egoisticamente come loro.
Ma se i soggetti che abbiamo delegato a certi ruoli istituzionali non si comportano bene non vuol dire che noi dobbiamo fare lo stesso. La mafia e i poteri è una tematica vecchia come l’uomo: non è la prima volta che se ne parla, se ne continuerà a parlare e non ci sono novità. Sentiamo spesso che ci vogliono i codici etici, una regolamentazione affinché i partiti si distacchino dai poteri mafiosi, ma questo è un argomento che dura il tempo di uno slogan.
C’è spazio nella coscienza di tutti noi, c’è spazio in ognuno di essere artefice del proprio destino. Ai singoli è lasciata una possibilità di scelta e molti singoli la portano a compimento, fanno ciò che sentono senza accettare di umiliare la propria professione, di scendere a patti illeciti e soprattutto, non accettano il patteggiamento con la coscienza. La responsabilità di ciascuno di noi è al servizio della comunità ”.
Ambrosoli ricorda la storia di Fulvio Croce, presidente dell’ordine degli avvocati di Torino, assassinato dalle Brigate Rosse, “un professionista che non si tirò indietro per amore della giustizia” e racconta alcuni punti salienti della sua vita perché “è giusto che tutti coloro che pensano che l’Italia sia un Paese solo di codardi, ignavi ed indifferenti, sappiano che ci sono stati uomini che sono morti per questo paese”.
“Oggi c’è la sindrome dell’applauso e la colpa è della società che abbiamo costruito – afferma l’assessore provinciale Lamberti – Non vediamo davvero la realtà, viviamo in un momento particolare e non è vero che non vogliamo lavorare forse non siamo motivati. Giudicare è una responsabilità di non poco conto ma per farlo bisogna conoscere. Chi fa non è detto che sappia fare: oggi è più importante arrivare al traguardo che svolgere bene il proprio lavoro. I casi di malasanità sono emblematici e qualcuno è diventato primaria senza aver fatto mai una tracheotomia: è come un panettiere che non ha mai impastato il pane”.
Ma si può interrompere il rapporto tra mafia e politica?
“ La frase di Borsellino “Mafia e Politica sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo” credo spieghi tutto – postilla Tranquillo – Chi ci ha preceduto e ha lottato contro questo rapporto malato non va disperso. Il problema è percepito dalla collettività e nessuno può dire di non capire. Solo che c’è sempre qualcuno che aspetta che si muova qualche altro: è come una gara dove tutti sono pronti ma qualcuno deve partire per poi prendere la volata. Alberto Nobili, un magistrato milanese, diceva che dobbiamo recuperare il gusto della legalità”.
Chi credeva nella legalità ed è morto perché ha speso la sua vita in essa è l’avvocato civilista Giorgio Ambrosoli ucciso da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Sindona sulle cui attività Ambrosoli indagò nell’ambito dell’incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.
“Intorno all’illegalità si riescono a creare delle grandi solidarietà per tutti coloro che ritengono che i propri obiettivi valgono più dei diritti delle persone – afferma Umberto Ambrosoli – Questo appartiene alla natura dell’uomo, chi vuole mantenere con forza il potere nell’ambito politico decide di affidarsi a chi gli offre denari: in questo modo, si creano delle solidarietà fondate sulle illegalità e questo succede non solo con la politica ma con l’economia e con il mondo mafioso. La dinamica del potere è affidata agli uomini. Esercitare la memoria è guardare a fondo, fare proprie quelle storie, confrontarsi e chiedersi che cosa questa storia mi dà. Solo guardando queste storie possiamo sconfiggere i nostri limiti.
Io non so se sarei stato capace di fare ciò che ha fatto mio padre ma non escludo a priori che non mi sarei comportato come lui. Non so come ha lavorato o con chi si confrontava, ma so che il modo di vivere di mio padre è possibile. So anche che grazie a lui ho superato gli ostacoli diventando un cittadino capace di contribuire alla costruzione della società”.
“Senza il consenso del territorio non potrebbero esistere le mafie e parte di quel consenso nasce dal loro codice di valori che crea delle regole che sono formalmente osservate – aggiunge Flavio – Lo sport ti insegna con crudeltà a perdere e ti aiuta a superare le sconfitte ed assaporare ancor di più la vittoria”.
Ma qual è il polso di questo Paese col quale vi confrontate? – domanda il giornalista Giusva Branca.
“E’ un Paese vivo e attento – afferma Tranquillo – ma basta con le scuse. Solo così forse avremmo un Paese veramente diverso”.
“ L’Italia è una realtà complessa, idonea a generare speranze più concrete – conclude Ambrosoli – Se ciascuno di noi fa il proprio dovere potrà guardarsi allo specchio ed essere soddisfatto di se stesso”.
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