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Stampa e indagini giudiziarie: chi è funzionale a chi? Tabularasa interroga e mette a confronto nell’incantevole cornice di Torre Nervi, alla “Luna Ribelle”, nel giorno dell’anniversario della morte del giudice Paolo Borsellino, Peter Loewe corrispondente dall’Italia per “Dagens Nyheter”, il più importante quotidiano svedese, il Procuratore di Palmi Giuseppe Creazzo e Carlo Parisi, Segretario del Sindacato dei Giornalisti della Calabria e Componente della Giunta Esecutiva FNSI.
Prima di approfondire il rapporto stampa e indagini giudiziarie, è il Procuratore Creazzo a ricordare il giudice Borsellino, “un eroe del tempo che, con il sacrificio della propria vita, ha migliorato la società”. “Cosa Nostra compì il suo piano uccidendo prima Falcone e poi Borsellino, ma fece male i suoi calcoli perché la strage di via d’Amelio ha suscitato un risveglio delle coscienze in Sicilia ridimensionando il fenomeno mafioso. Paolo e Giovanni sono per tutti i magistrati che credono nella legalità un esempio da seguire”. Il pubblico si alza in piedi e fa un lungo applauso a quell’uomo di Stato che “sapeva di morire ma ha continuato ugualmente a svolgere il suo lavoro”.
Poi l’attenzione si sposta sull’informazione e sul rapporto di questa con le autorità giudiziarie. “L’informazione sulle indagini è positiva a patto che venga sempre tutelata la dignità delle persone e non si violino aspetti che devono rimanere segreti affinché non venga turbata l’attività investigativa – afferma il procuratore Creazzo – L’informazione sul corso della giustizia contribuisce ai valori della democrazia: il controllo sulle attività dei giudici serve ad esercitare anche un controllo su chi conduce questi processi ma l’informazione sui processi può avere delle distorsioni. In Italia è nato il fenomeno di effettuare i processi paralleli per via mediatica e molte trasmissioni televisive sono autori di questi processi nei quali è stata abbandonata la ricerca della verità per raccontare una storia. Poi ci sono le intercettazioni che possono essere messe a disposizioni delle parti ma vi sono storture sull’utilizzo improprio di queste che vanno corrette da una legge. Tutto il materiale intercettato – spiega Creazzo – fa parte degli atti processuali e quindi, è soggetto al pericolo di fruizione e diffusione quando gli atti diventano pubblici”.
Sul problema etico deontologico nella pubblicazione di una notizia si sofferma il segretario Parisi che, dopo aver ricordato “quanto incide sui giornali la pubblicità istituzionale: in Calabria ci sono giornali che in bilancio alla voce entrate presentano il 70 anche l’80 % di introiti derivanti da pubblicità istituzionale”, postilla: “Prima di andare a pubblicare una qualsiasi intercettazione, il giornalista deve avere coscienza di quanto possa pesare quella notizia.
Quando si sbatte il mostro in prima pagina e, dopo mesi o anni, lo pseudo colpevole risulta innocente, tutte le smentite non hanno alcun valore per l’individuo che ha perso la propria dignità. Se il giornalista non pubblica qualcosa rischia di prendere un buco ma questo è un falso problema: ci sono giornali che puntano su scandali e giornali d’informazione che, invece, puntano a fare una ricerca seria ed approfondita. Dobbiamo tenere conto della rilevanza pubblica del personaggio prima di pubblicare una notizia. Noi calabresi siamo sempre stati accusati di essere omertosi – tuona Parisi – e la legge bavaglio in una regione come la nostra, suona quasi come un’offesa. La legge sulle intercettazioni non è altro che la legalizzazione dell’omertà”.
Parisi da anni ricopre il ruolo di vertice calabrese del Sindacato dei giornalisti che lo vede, anche a livello nazionale, decisamente impegnato nella tutela degli interessi e dei diritti della categoria, sotto il profilo di legittima rivendicazione, ancorata al grande tema della libertà dell’informazione.
“Purtroppo, nel nostro paese c’è il malvezzo di prendere il peggio di tutte le cose e degenerarle – conclude Parisi – Negli anni ‘80 Reggio Calabria era la prima città con il più alto numero di intercettazioni telefoniche, le intercettazioni sono una violenza per la persona soprattutto, se non c’è un riscontro effettivo. Non esiste un meccanismo di censura preventiva”.
Ma l’Italia si distingue per molte cose dalla Svezia e lo puntualizza il giornalista Loewe che dice: “La vita in Italia è molto politicizzata per quanto riguarda i giornali e la magistratura. I giornali in Svezia hanno le loro opinioni ma ci sono delle chiuse tra opinioni e notizie. Qui le cose sono ben diverse: ci sono problemi sui tempi dei processi e poi sono i media a fare i processi. All’estero pensano che in Italia si possa fare qualsiasi cosa. Io di questo paese racconto alla Svezia dicendo che in Italia è permesso tutto quello che è vietato mentre in Svezia è vietato anche ciò che è permesso. In questo paese c’è uno scontro tra politica e magistratura: c’è una piccolissima parte della magistratura che forse usa il suo lavoro per scopi politici”.
E allora, sono le indagini giudiziarie ad essere funzionali alla stampa o è invece l’attività dei giornalisti ad indirizzare le indagini? – domandano i due padroni di casa, Giusva Branca e Raffaele Mortelliti.
“Sono due percorsi distinti e paralleli – afferma Creazzo – Gli atti giudiziari possono essere raccontati perché sono stati depositati. Il problema è che spesso in alcuni casi è successo che entrino anche contenuti che non hanno speciale attinenza con il caso. Qui ci sono due profili di rischio: chi la divulga quella notizia e chi poi la pubblica. Per riparare a questa patologia bisogna cambiare le regole”.
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