Recensione de “La rivincita di Vicolo Corto” di Morabito

La rivincita di vicolo corto

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Recensione del romanzo “La rivincita di Vicolo Corto” di Ferdinando Morabito edito da Città del Sole edizioni.

“Vado a tirare i miei dadi, si dovrà pur ripartire prima o poi”

La rivincita di Vicolo Corto è il titolo del nuovo romanzo di Ferdinando Morabito, giovane scrittore calabrese, che ha già al suo attivo varie pubblicazioni e romanzi. Due personaggi: da una parte un giovane trentenne cronista di un periodico culturale, dall’altra, un uomo controverso che ha ricoperto in passato ruoli di spicco nel mondo politico e imprenditoriale. Le loro vite si incrociano quando il capo del giovane e rampante cronista gli affida il compito di intervistare quel personaggio che era stato considerato in passato una mente brillante, superiore, un leader carismatico, ma allo stesso tempo sfuggente e misterioso.

L’intervista si svolge in un luogo inconsueto, un Istituto psichiatrico dove quel personaggio così potente e ammaliante era stato rinchiuso. Le domande che il giovane cronista si pone sono tante: come si è potuto ridurre così un uomo che negli anni aveva affascinato milioni di persone?  Cosa è  successo di così grave da portarlo a diventare un povero diavolo dallo sguardo semispento? E soprattutto, forse quell’uomo considerato tanto intelligente e potente stava recitando una parte, quella del matto? Quest’ultimo dubbio si insinua prepotentemente in tutte le pagine del romanzo, dall’inizio alla fine.

Ma poi, cosa c’entra il gioco del Monopoli con la vita di quell’uomo? Solo leggendo le pagine di questo romanzo si può scoprire che quel personaggio aveva fatto di quel gioco la metafora della sua esistenza, incastrato in una sorta di gioco dove tutto ha un prezzo, dove tutto può essere comprato e venduto, dove ogni momento della sua vita ricalcava quello delle pedine sul tavolo da gioco. Con trasporto quasi spasmodico associa ad ogni casella ogni momento vissuto, ogni sensazione, ogni emozione, ma provvede anche a coinvolgere il suo interlocutore, a catapultarlo all’interno delle caselle del Monopoli, e lo fa quasi lucidamente  provvedendo a distribuire le banconote ad un immaginario compagno di gioco.

Quel gesto, fatto durante i primi momenti dell’intervista, anticipa ciò che avverrà durante tutti i loro colloqui, anche il narratore, il giovane giornalista deve giocare, può avere il suo spazio su quella tavola da gioco, ebbene sì, anche lui deve affidare ai dadi la sua esistenza per poter stare dietro a quello strano personaggio. Vicolo Corto (così viene chiamato l’intervistato), anche nella rabbia, sembra rievocare il protagonista recluso in un ospedale psichiatrico tedesco de Il tamburo di latta di Günter Grass, uomo dotato di un’intelligenza superiore e paranoica che narra la sua vita accompagnandosi dal suono di un tamburo di latta così come il nostro “Vicolo Corto”  si accompagna al gioco del Monopoli per scandire lucidamente le sue vicende personali.

Una delle prime domande dell’intervistatore è : “Allora, mi vuole dire cosa c’entra Vicolo Corto con lei?” Dalla risposta si comprende perché il gioco del Monopoli diventa il fulcro dell’esistenza di quell’uomo. Lui, bambino, piccolo, dal fisico gracile, di umili origini e senza prospettive future era stato soprannominato appunto Vicolo Corto, che nel gioco è il contratto più insignificante e povero. La sofferenza vissuta da bambino, quel nomignolo che gli aveva portato tanta amarezza era diventato il punto di partenza della sua scalata sociale, proprio come nel gioco, tutto ha inizio “proprio da lì, dopo il Via è necessario passare da Vicolo Corto per raggiungere qualsiasi altro punto. E io dovevo passare da quel nome per crescere e tutti avrebbero dovuto fare i conti con Vicolo Corto da quel momento in poi” .

Proprio da questo punto in poi, l’autore con maestria ci catapulta nella storia, la storia di questo personaggio, ma che è la storia del nostro Paese, dal dopoguerra fino alla fine della Prima Repubblica, e lo fa facendola raccontare a colui che aveva rivestito un ruolo da protagonista in tutte le vicende, gli scandali e i probabili complotti che hanno attraversato gli anni recenti del Paese. Probabilmente per tale motivo non viene mai rivelato il suo vero nome, così che il lettore possa partecipare al gioco, immaginando quale potrebbe essere la sua vera identità.  Un’archeologia del presente e della memoria che raccoglie vicende, momenti, sensazioni, dialoghi incastonati magistralmente con le pedine sul tavolo da gioco, quasi richiamando nella struttura narrativa Ulysses di James Joyce, dove ciascun capitolo corrisponde ad un canto dell’Odissea. Ciò che Vicolo Corto sente e ricorda, ciò che pensa e dice, tutto è magistralmente raccontato.

La scrittura  dell’autore è una scrittura realistica, pronta ad inventare la realtà senza però tradire la storia. Anche il lettore coinvolto sembra essere attraversato dagli stessi dubbi che attanagliano il giovane cronista che si trova di fronte quello strano personaggio: tutto ciò che racconta a tratti inverosimile, irrealistico, è successo o no? La sua versione dei fatti come può essere suffragata da prove concrete? Tutto può essere vero o verosimile nelle infinite ipotesi delle vicende narrate dall’intervistato. Ognuno trarrà dalla lettura di questo libro le proprie conclusioni, ma occorre darsi completamente al testo come se si entrasse nella Recherche di Marcel Proust, dove non è possibile comprendere alcunché se il lettore non decide di immergersi nel flusso temporale della narrazione.
“Tiro i dadi, il gioco ha inizio” buona lettura!

Maria Concetta Di Giovanni

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