ReAction City e i luoghi della cultura. Il “Siracusa” chiude?

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di Francesco Spinelli (vice presidente di Mediterranea Teatro)

Eravamo stipati nel Siracusa di Reggio per la presentazione di ReAction City – progetto di innovazione sociale urbana di Consuelo Nava e Fabio Mollo – quando udimmo che “il Siracusa avrebbe avuto i mesi contati”. Parole che suonarono come un déjà vu, perché già anni fa la storica sala fu salvata dalla fine che è toccata al “Margherita”. Per fortuna oggi il bene è sottoposto a vincolo ma nel 2009 il pericolo fu scampato grazie alla battaglia di Renato Nicolini e Marilù Prati con Mediterranea Teatro, nel silenzio generale. Come fu scongiurato l’affidamento in gestione motu proprio in stile “modello Reggio”. Si potrebbe discutere sulla reale partecipazione (nell’immobilismo dell’Università Mediterranea) rispetto al tessuto creativo o sul coinvolgimento messo in atto nei confronti dei cittadini in termini di capacità di creazione d’immaginario, ma il tema ora è un altro.

Alla Reggio città del non finito, delle bombe nella notte, dei cumuli di rifiuti, dei 9 candidati e mezzo, del grande Museo senza reperti, senza sindaco, senza governatore (ma con una Provincia in dismissione) e senza il suo principale Teatro (da sempre concepito come “tappeto rosso del politico di turno”), oltre il paio di luoghi comuni sui Guerrieri (di Riace) e sul paesaggio dello Stretto (di Messina), resta una sola vera risorsa: la capacità di generare immaginario, che a sua volta genera produzione culturale. E quindi, industria culturale. C’è un profondo nesso tra il materiale e l’immateriale ma l’invisibilità di quest’ultimo dipende dagli occhi che non vogliono vedere.

Grazie a ReAction tanti reggini hanno potuto esercitare la propria cittadinanza invadendo la platea del “Siracusa” esprimendo un desiderio di partecipazione come speranza di riscatto e senso di comunità, in una città dove la misura del malessere è colma (del resto il termine platea è la traduzione ultima del latino platæa, cioè piazza). Il degrado delle città passa attraverso la mutazione degli individui da cittadini/animali sociali a consumatori/divoratori di energia e talenti. Il desiderio di essere felici è legato alla qualità del vivere ed un luogo viene riconosciuto come desiderabile nella misura in cui viene abitato dalle emozioni. Quando un luogo scioglie questo legame con i suoi abitanti diventa una metastasi invisibile, esprimendo contraddizioni e distopie che possono “ripararsi” solo attraverso una sollecitazione corale. I nostri “inserti” teatrali all’interno di RAC si collocano nell’ottica di questa visione e corrispondono ad una specifica azione che si focalizza sugli spazi pubblici per la cultura come specchio della società.

E’ terminata l’epoca dei finanziamenti a pioggia e le istituzioni dovrebbero saper assumere il ruolo di sollecitatori di processi che facciano emergere quei principi attivi che generano cultura e sviluppo, innovando radicalmente le pratiche di governance urbana ormai vecchie di quarant’anni.
Il Siracusa è il più antico teatro della città, ma è un bene privato e non potrà certo continuare a gravare su un solo ente senza alcuna ricaduta sui cittadini in termini di condivisione, conoscenza e qualità della vita: occorrerebbe un modello di gestione innovativo e partecipato di natura mista, inserito nell’ambito delle politiche dei grandi distretti culturali regionali.

Con Nicolini si pensò di farlo diventare nodo di una rete regionale di teatri universitari e d’innovazione, specializzato nel teatro di paesaggio (ben differenziato dal Cilea) inteso come grande open space culturale con offerte diversificate e con tanto di caffè libreria (tanto successo stanno avendo ora i “caffè senza tempo”). Altra epoca, altra storia. Ultimamente si sente parlare molto di politiche di riuso temporaneo a vantaggio di piccoli e medi operatori culturali ad alto contenuto innovativo nel campo sociale e della creatività. La galleria, se messa a norma, potrebbe diventare uno spazio flessibile di co-working creativo. Crediamo che le direzioni debbano essere queste. Ormai nessuno spazio culturale può sopravvivere senza una diversificazione dei prodotti e dei servizi offerti, a patto che i fruitori non vengano considerati esclusivamente come dei consumatori… Si dice che i teatri siano i “luoghi dove finisce l’architettura e comincia il mondo dell’immaginazione”, luoghi di utopia come dimensione della speranza e della volontà innovativa, tensione intellettuale e pensiero per il futuro: progettazione.

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Author: Francesco

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