Quale dimensionamento della rete scolastica per la Regione Calabria?

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Riceviamo e pubblichiamo:

Ancora non siamo nel turbinio dei lavori per redigere il nuovo piano della rete scolastica calabrese, nonostante i ridotti margini temporali e diversamente da altre realtà regionali, ma ci sono tutte le premesse per ricalcare l’esperienza catastrofica dello scorso anno. La miopia con cui si è agito, la logica spesso campanilistica o semplicemente “politica”, ha determinato una situazione dichiarata insostenibile, in modo unanime,dagli attori e dagli utenti della scuola pubblica.

Il rischio che si sta correndo è quello di  arrivare a deliberare un Piano di dimensionamento della rete scolastica che non sia frutto di un percorso condiviso tra tutti i soggetti interessati – dirigenti, scuole, docenti, famiglie, istituzioni –  né trasparente e , di conseguenza, equo nelle scelte, laddove condivisione, trasparenza ed equità presuppongono procedure che contemplino un’attività istruttoria, una conoscitiva e una valutativa-comparativa per stabilire il peso dei diversi bisogni in gioco, in primis  il dovere di tutelate i giovani e il loro diritto all’istruzione e alla formazione.

Il pericolo che si sta materializzando, invece, è che le decisioni  relative al nuovo Piano di dimensionamento non mettano al centro la qualità dell’istruzione e della formazione, non garantiscano il successo formativo e  l’uguaglianza delle opportunità per tutti gli allievi, non tutelino i livelli essenziali delle prestazioni da garantire in ogni territorio ma siano, per l’ennesima volta,  compromesse dalle manovre di risparmio.

Di nuovo potrebbe essere  invertito  il rapporto autonomia-dirigenza. “Ogni scuola autonoma deve avere un suo dirigente” solo questa è la lettera, la ratio e la volontà del legislatore che oggi le associazioni sindacali  e gli attori della scuola calabrese, con diverse iniziative, intendono tutelare riconoscendone il ruolo fondante. L’endiadi autonomia-dirigenza, istituita dal legislatore, è infatti  “pietra angolare” di una più ampiaarchitettura di riforma, che mira alla qualificazione dell’istruzione e della formazioneattraverso la valorizzazione di competenze manageriali e di leadership. Competenze capaci di affrontare con successo le sfide della complessità, contestualizzandole secondo la logica del “glocalismo” (agire localmente pensando globalmente) e  catalizzando il processo di innovazione  a cui la scuola deve dare corso, pena lo sganciamento dalla “linea-del-tempo” e l’arretramento della Regione e del Paese.

Non è infatti previsto ex lege, né funzionale, che  possano esserci scuole autonome prive di un dirigente stabilmente e univocamente assegnato solo perché lo Stato ha competenza a stabilire il numero di questi ultimi. E neppure che il numero di dirigenti, fissato aprioristicamente a livello centrale- sulla base di un parametro “medio” che per sua natura “appiattisce e  mortifica” le specificità locali – possa predeterminare e condizionare il numero di scuole autonome, invertendo così l’ordine naturale delle cosee inficiando a macchia d’olio l’efficacia e l’efficienza del processo avviato.Sfilata  questa “pietra d’angolo”, in altri termini, l’architettura rimane priva di quelle sinergiche e osmotiche interrelazioni interne ed esterne che assicurano la stabilità e la funzionalità della visione d’insieme, degradando l’edificio pensato come “sistema” in un pericoloso e anacronistico “aggregato” di parti.

Nella “ratio legis” del decentramento fondato sulla sussidiarietà è la Regione che deve presiedere  autonomamente il dimensionamento della rete scolastica, deve cioè  stabilire la soglia minima e massima degli alunni che frequentano le istituzioni autonome nei diversi gradi dell’istruzione e nelle diverse specificità territoriali, fissando contestualmente i limiti delle situazioni in deroga.

Ogni Regione,quindi, nel deliberare le Linee Guida dei nuovi piani, non può non analizzare le singole realtà territoriali, non può e non deve trascurare le caratteristiche e le istanza culturali, linguistiche,  economiche, orografiche del proprio ambito, non può non garantire a tutti i suoi cittadini un servizio essenziale e un diritto costituzionale  quale quello dell’istruzione.

Questo il senso del riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia, così come sancito, per l’ennesima volta, dalla Corte Costituzionale con la sentenza 147 del 5 giugno 2012, che richiama precedenti sentenze sulla vexataquestio delle competenze(la n. 200 del 2009 e n. 22 del 2011).

La Suprema Corte ha, nuovamente, sottolineatoche, ancor di più dopo la Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, la programmazione del servizio scolastico sul territorio (denominato “dimensionamento”) rientra tra i compiti affidati alle Regioni e ciò in virtù del fatto, come la Corte ha stabilito, già dal 2009, che  la preordinazione di criteri relativi al dimensionamento delle scuole “ha una diretta ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realtà territoriali e alle connesse esigenze socio – economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale…”.

Solo in sede regionale, quindi,  possono essere apprezzate e tutelate realtà e peculiarità e  solo a partire dalla stessa sede possono essere effettuate scelte che incidono sulla qualità dell’offerta formativa e, in parallelo, sull’occupazione – presente e futura – finalizzata all’obiettivo europeo della migliore inclusione sociale.

Scelte oggi indifferibili, considerando che i tagli chirurgici dello scorso annohanno decapitato ben 99 istituzioni scolastiche, creando  88 scuole, sulla carta autonome, ma nei fatti prive di dirigenti stabilmente assegnati, con implicazionidevastanti sul piano organizzativo, didattico e  sociale e con un effetto domino del malessere esteso anche alle scuole “normodimensionate” costrette alla condivisione del dirigente.

Il risultato in termini di organici è stato quello di bloccare, fino a saturare, il contingente dei dirigenti scolastici, creare un impressionante esubero di DSGA , far lievitare i docenti e il personale ATA in soprannumero, impedire l’assunzione anche a tempo determinato di molti docenti supplenti. Risorse umane qualificate alle quali la scuola deve la possibilità di aprire (anno dopo anno) i  battenti, ma che (anno dopo anno) condanna al limbo della precarietà e della demotivazione, o, nei casi più sconvolgenti, all’eternità prematura della terra fredda. Tutto questo accade in una regione afflitta dalla piaga della disoccupazione che, paradossalmente, può contare su competenze altamente specialistiche, come quelle di molti docenti, di ruolo e precari, e di ben 98 neo Dirigenti Scolastici, vincitori dell’ultimo concorso che si sono formati a proprie spese per rispondere alle esigenze di innovazione e qualificazione e che restano  bloccati ai nastri di partenza per indisponibilità delle sedi.

Questa  situazione perversa  prevede, però, una via d’uscita: una scelta coraggiosa e lungimirante che consenta di recuperare tutte le istituzioni scolastiche autonome illegittimamente soppresse lo scorso anno, sulla base di una legge che la Suprema Corte ha dichiarato incostituzionale.

Una scelta dovuta,necessaria, improcrastinabile.

E se così non fosse, è necessario che i diretti autori se ne assumano la responsabilità piena. Così come si è avuto il  coraggio di “giustiziare” la nostra scuola, bisognerà avere il coraggio di  dire ai cittadini calabresi che la scuola non è una priorità del governo locale; che i nostri giovani non sono ai primi posti dell’agenda politica; che creare menti libere e coscienze rette non interessa; che formare alte professionalità , fornire gli strumenti per essere cittadini del mondo e risorse strategiche per il rilancio della Regione e del Paese non rientra nei programmi dei politici calabresi; che sostenere la scuola come unico presidio di legalità, come unico deterrente alle lusinghe e ai tranelli di una delinquenza che nella sete della nostra terra trova terreno fertile, non rientra tra gli impegni di governo della nostra Regione.

Diverse sono le domande che ad oggi non hanno avuto risposta:  i nostri rappresentanti politici hanno intenzione di tutelare i comuni montani  presenti nella nostra regione? Vogliono custodire  le piccole realtà con specificità tipiche non confondibili con quelle di comuni limitrofi? Sono pronti a difendere  i comuni ad alto tasso di criminalità?  Tengono asalvaguardare  le  storie, le tradizioni, le ricchezze culturali , così diversificate, del nostro territorio? O intendono, diversamente, comprimersi nella logica del sì acritico allo Stato, abbracciando il luogo comune di una crisi ormai percepita nitidamente, anche dal comune cittadino, come alibi utile per chiedere sacrifici sempre alla stessa scuola pubblica, mentre si perpetuano i riti (intollerabili) di sprechi che suonano come sfregi e si erogano finanziamenti – di importo poco inferiore ai tagli delle scuole pubbliche – alle istituzioni scolastiche private?

Su questo tema la Calabria  non può concedersi sconti,  né proroghe, né rimandi. Dobbiamo, in quanto cittadini di questa regione, rimanere fermi  sul fatto che bisogna promuovere qualsivoglia iniziativa comune volta alla collaborazione e alla partecipazione che salvaguardi la scuola pubblica calabrese, rimanendo lontani dal fare polemicae puntando su obiettivi utili al “ben-essere” dell’istruzione e della formazione, nella consapevolezza che solo l’interesse della collettività tutela i singoli e non il viceversa.

Pertanto, ai destinatari in indirizzo, per quanto di loro competenza, si chiede di:

  • intervenire con forza e decisione assumendo gli impegni necessari  per la risoluzione dei tanti problemi aperti (solo in parte qui esplicitati) nel rispetto dei tempi e delle urgenze delle istituzioni scolastiche che non possono e non devono ulteriormente soffrire per le inerzie della politica e dell’amministrazione;
  • rivedere, secondo un’ottica di condivisione, efficacia ed efficienza,  i parametri dimensionali delle scuole autonome e stabilire con chiarezza, nel rispetto delle specificità di ogni comune, anche i criteri delle deroghe da adottare a partire dall’a.s. 2013-2014;
  • superare l’idea rigida di creare Istituti Comprensivi, ma aprirsi, come già accaduto in altre regioni, alla possibilità di aggregazioni di scuole in orizzontale, fissando  oltre al limite minimo anche il tetto massimo di alunni per istituto, imprescindibile ai fini di una concreta chance di governance;
  • prevedereuna programmazione della rete scolastica in un’ottica pluriennale, per tracciare una organizzazione “sensata” del servizio scolastico regionale improntata al principio della gradualità nel conseguimento degli obiettivi.
  • orientare le scelte dei criteri delle Linee Guida regionali in materia di dimensionamento della rete scolastica a favore di istituzioni scolastiche che non siano esclusivamente espressione afona di parametri numerici ma manifestazione significativa di comunità: progettuale, curricolare, di crescita, d’istruzione e formazione, nonché risposta ai bisogni e alle aspettative dell’utenza e forma di dialogo vitalizzante con il territorio.
  • promuovere la scuola pubblica calabrese, in continuità alle politiche di sostegno dell’Unione europea, quale occasione e luogo concreti di valorizzazione delle potenzialità del cittadino e della cultura della legalità, nell’ottica della maggiore e migliore inclusione sociale.

Firmato: Maria Pia D’Andrea, Simona Sansosti, Giovanna Caratozzolo, Gemma Faraco  –

Vincitrici  Concorso Dirigenti Scolastici della Calabria.

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Author: Cristina

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