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Riceviamo e pubblichiamo: (di Giovanni Alvaro)
“Ci sono sempre due possibilità per svicolare dalla concretezza degli argomenti e tentare di salvarsi nei classici calci d’angolo. E sono tutte e due ripetitive di prassi consolidate, ma anche offensive per l’intelligenza dei cittadini che capiscono, più di quanto si possa credere, e comprendono il tentativo di considerarli degli allocchi. E’ quanto sta avvenendo sulla vicenda del No al Ponte sullo Stretto che più perde adepti, come anche il recente corteo di Punta Faro testimonia, e più spinge i ‘negazionisti’ a deragliare dal dibattito civile.
La prima sortita è quella di sventolare, come drappo rosso dinanzi agli occhi di un toro (l’opinione pubblica) che si considera pronto alla carica, la trita e ritrita storiella di una mafia pronta a fare “l’affare del secolo” e che si considera impossibile da contrastare. Convinzione, questa, che è la logica conseguenza della sottovalutazione sia dei grandi risultati di contrasto alla criminalità organizzata conseguiti dal Governo Berlusconi (8 mafiosi al giorno arrestati, 26 su 30 tra i più pericolosi latitanti assicurati alla giustizia, confisca -non semplice sequestro- di ingenti patrimoni accumulati illecitamente, ecc.); e sia della mancata comprensione che lo Stato è più forte di qualsiasi mafia ed ha la capacità del contrasto della azione di penetrazione nelle grandi opere, come il Ponte, anche ricorrendo, se necessario, all’azione delle forze armate.
Il secondo deragliamento è quello di rifiutare il confronto e rifugiarsi nelle solite invettive come quelle di considerare coloro che non la pensano allo stesso modo ‘venduti’ allo straniero e mossi da interessi che solo i grandi investimenti possono assicurare. La fondazione di ‘comitati pro-mostro’, secondo i signori del No, non nasce come conseguenza dei convincimenti frutto dell’impegno e delle attività professionali, presenti e passate, dei fondatori, ma solo per meschino e vergognoso tornaconto. Si imbocca così, da parte di due illustri mohicani, la strada che esclude a priori ogni confronto civile.
Chiudere quà la nostra riflessione? No. Anche perché si continua imperterriti a riproporre un ‘benaltrismo’ solo nominale. Da decine e decine di anni si agita la richiesta dell’ammodernamento della infrastrutturazione meridionale e dell’adeguamento dei trasporti a quelli dell’intero paese (in particolare difesa del suolo, nuova 106 calabrese, Alta Velocità da Salerno verso Reggio, Palermo e Catania, tanto per fare alcuni esempi), ma da decine e decine di anni le richieste rimangono inascoltate. Non si tratta di insensibilità del Governo Berlusconi perché la stessa ‘insensibilità’ si era avuta con Prodi e con D’Alema. Si tratta piuttosto di difficoltà economiche che sono certamente inaccettabili, ma che non si superano sol perché si declamano quasi giornalmente.
E allora bisogna saper cogliere le occasioni ben sapendo che ‘il benaltro’ segue e non precede o al massimo viaggia in contemporanea alla realizzazione di opere imponenti. Il Ponte,
che non nasce per i pendolari della zona ma come segmento del corridoio 1 Berlino/Palermo e Catania, al fine di velocizzare il trasporto su rotaia delle merci transitanti nel Mediterraneo, da e per il Nord Europa, per essere opera utile deve essere collegato all’Alta Velocità riducendo il tempo di percorrenza anche delle persone, liberando il Sud dall’attuale isolamento e permettendo un reale sviluppo dell’opzione turistica.
Schierarsi, quindi, contro il Ponte, mantenendo lo status quo, è un crimine contro le popolazioni meridionali. E lo è sia per le immediate ricadute occupazionali, che per le ricadute in prospettiva. Questo lo hanno capito le popolazioni interessate che nel corso degli ultimi anni hanno ‘fatto fuori’ intere classi dirigenti che, sul Ponte, si sono mosse con condizionamenti ideologici.”
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