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Riceviamo e pubblichiamo:
La vicenda del Ponte in questo ultimo mese è veramente diventata paradossale. Non sembrano per nulla accorti coloro che hanno consigliato il famoso decreto-capestro firmato da Napolitano il 2 novembre scorso ed anche lui chiaramente messo fuori strada. E’ semplicemente assurdo aver partorito un provvedimento che doveva chiudere la partita ponte evitando la mannaia della Corte dei Conti, e trovarsi adesso proiettati letteralmente dalla padella nella brace.
Solo due parole per ricapitolare la vicenda. Il governo Monti aveva deciso di impegnare 300 milioni per pagare la penale per l’anticipata conclusione del contratto d’appalto per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, ma avendo capito che poteva essere addebitato ai membri del governo il conseguente danno erariale, nel giro di alcune ore (dalla sera all’indomani mattina), scelse di ritirare quello stanziamento e di far studiare un percorso diverso per poter superare lo scoglio della Corte dei Conti. Da quella scelta parte il decreto con il quale i consiglieri del Governo e dello stesso Napolitano hanno pensato per poter mettere all’angolo le imprese vincenti dell’appalto e ottenere che, scodinzolanti, firmassero ogni nefandezza.
Ma hanno fatto i conti senza l’oste perché l’Eurolink, anche per evitare di assumersi carichi non suoi e d’essere chiamata ai danni dalle Imprese facenti parte della cordata aggiudicataria dell’appalto (tra cui l’italiana Impregilo, la spagnola Sacyr,la CMCdi Ravenna, la giapponese Ishikawajima-Harima Heavy Industries), e dalle altre subappaltatrici a cui sono stati affidati compiti specialistici, ha deciso di informare il governo della rescissione del contratto, chiaramente per colpa dell’esecutivo, con tutto ciò che ne consegue di ‘danni erariali’ che la decisione comporta.
Per la verità l’Eurolink non chiude definitivamente la porta ma fa sapere che è disponibile a rivedere le clausole del contratto solo alla “condizione che il governo dia reali segni di voler puntare alla realizzazione del Ponte”. Come a dire che l’Eurolink non è interessata all’incasso della penale quanto al proseguimento dei lavori perché la realizzazione del Ponte non è un lavoro qualsiasi ma è un fiore all’occhiello sia per lo Stato dove si realizza l’opera (basti citare altri fiori come il Golden Gate di San Francisco,la Torre Eiffeldi Parigi, ecc.) che per le imprese che lo costruiranno.
Dinanzi a questo scenario, non messo in conto dai consiglieri del governo, anche il ministro Clini, sempre schierato sul No al Ponte, è stato abbastanza conciliante dichiarando: “dobbiamo completare la valutazione di impatto ambientale (Via) sulla base dei numeri e non di scelte ideologiche”, e aprendo con l’affermazione che “il governo ha detto che non è un’opera prioritaria ma se ci sono investitori privati affrontiamo la questione come quella dell’Ilva senza guerre di religione”.
Dunque la parola passa al Governo che può ritirare il decreto-capestro, ben sapendo che gli ambientalisti ed altri strilleranno, ma evitando altre probabili scivolate, e invitandola Strettodi Messina ad accelerare l’individuazione dei finanziatori stranieri tra i quali ci potrebbe esserela Cina, come ampiamente pubblicato dai media nei giorni scorsi; oppure spetterà al Parlamento mettere il decreto su un binario morto facendolo scadere nella sua efficacia.
Quel che è certo è che, comunque, la partita si gioca entro i 60 giorni che servono al Parlamento per trasformare il decreto in legge. Conteggio che parte dal 2 novembre e si esaurisce entro l’1 gennaio 2013. Scadenza che scomparirebbe ove fosse ritirato dal Governo. In caso contrario pensiamo che i tempi per l’Eurolink siano abbastanza ristretti e che la stessa debba formalizzare la rescissione del contratto prima dell’eventuale conversione del decreto in legge e. comunque, prima di Natale.
Giovanni ALVARO* – Bruno SERGI**
* Comitato Ponte Subito
** Università di Messina, Harvard University
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