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Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Dino Chininea, un privato cittadino indignato che si allinea a tutti gli altri non rassegnati e parimenti indignati che amano la propria città:
“Con buona pace di Samuel Becket, in questa città, il “teatro dell’assurdo” non è una rappresentazione scenica, in quanto si manifesta nella concreta realtà.
Il riferimento è alla ormai (così detta) “maledizione di Parco Caserta” riferita al una zona centrale della città.
In tale zona, infatti, negli anni 90, con l’intento lodevole di realizzare un parco cittadino, per una parte sono stati costruiti impianti sportivi che hanno sempre, e continuano ad avere – tanto che continuano ad essere chiusi – una vita travagliata e per la restante si è proceduto a cementificare in modo selvaggio, sistematico ed esiziale, una gran parte di un’area verde già esistente.
Così, dopo aver sradicato molti alberi, definiti (allora) di scarso pregio, si sono costruiti muri, muretti, scale ed angusti ed assurdi vialetti pavimentati.
Il tutto esteticamente sgradevole e, cosa più rilevante, di nessuna utilità pratica.
Prova ne sia che il Parco, al di fuori di coloro che vi portano i cani per far fare loro i bisogni fisiologici, nessuno lo ha mai frequentato.
Peraltro, di grazia, dove si dovrebbe camminare? Negli striminziti vialetti ove è possibile procedere solo in fila indiana o negli impervispazi sterrati?
Con buona pace della qualifica di parco che per definizione è un “giardino pubblico con piante ornamentali ed alberi, adibito a luogo di ricreazione e di riposo”.
Come era prima che l’intervento umano lo rendesse non fruibile.
Infatti, allorché si trovava allo stato brado, ricco di alberi (quanto erano suggestive in primavera le acacie con la loro cascata di fiori gialli !) e con spazi liberi, era utilizzato da molti ragazzi, che lo frequentavano per i loro giochi, e da molti cittadini, specialmente anziani, che vi potevano passeggiare e godere della frescura sedendosi sulle panchine, oggi scomparse.
Ma tant’è!
Quanto detto potrebbe essere un giudizio estetico, che è sempre personale, sebbene condiviso da tutti coloro (tantissimi) che hanno avuto l’occasione di ammirarlo (si fa per dire).
Tuttavia, quel che è peggio è che alla genialità dei progettisti (a proposito, non hanno neanche previsto la realizzazione di un impianto di irrigazione automatico, pur trattandosi di un parco, zona adibita a verde!) si aggiunge l’incuria e la sciatteria di coloro cui compete di provvedere alla manutenzione.
Dalla realizzazione dell’opera, infatti, mai alcuno si è preoccupato di curarla se non in modo episodico.
Cosicché lo spettacolo che si presenta alla vista è veramente indecoroso e desolante.
Gli spazi lasciati liberi dal cemento, infatti, sono coperti da erbacce, alberi secchi divelti dal vento e non rimossi, e sterpi vigorosi ed invasivi che suscitano un senso di squallore per il tangibile degrado in cui sono lasciati.
Per converso, alcuni degli alberelli messi a dimora, in assenza della salvifica pioggia ed in mancanza di irrigazione, si sono seccati ed offrono uno spettacolo sconfortante che indigna per il colpevole abbandono e l’ammorbante trascuratezza.
Alla malinconia subentra, quindi, lo sdegno nei confronti di coloro i quali dovrebbero avere più a cuore le sorti della città e della sua immagine e non vi provvedono, anzi aggravano la situazione (al peggio non c’è mai fine): è di questi giorni infatti la notizia che l’Amministrazione comunale sta procedendo alla vendita ad un privato di una porzione di suolo dell’unico parco cittadino.
Non si riesce a comprendere (né l’amministrazione lo ha chiarito) quale inderogabile necessità abbia indotto l’Amministrazione a sottrarre un bene della collettività a favore ed a vantaggio di un privato cittadino.
Risulta, senza voler fare dietrologia, quanto meno, paradossale ed assurdo come il “Servizio patrimonio collettivo” del Comune abbia potuto manifestare il “proprio consenso alla compravendita” di una porzione di bene pubblico.
E’ deprimente assistere allo squallido spettacolo di dichiarazioni e polemicucce paesane tendenti ad attribuire agli altri la responsabilità della scellerata operazione di compravendita, che è emersa grazie alla indignazione ed alla lodevole azione di un gruppo di privati cittadini (il Comitato per la salvaguardia di Parco Caserta)i quali superando il torpore e la rassegnazione che aleggiano in città (a proposito stride l’assordante silenzio della c.d. “società civile”, associazioni culturali e di vario genere, che sull’argomento non ha fatto sentire la sua voce; ma tant’è ad essa basta fare proclami e non turbare l’equilibrio: ad esse si attaglia il motto latino “quieta non movere et mota quietare”)
Nefasto scaricabarile che rischia di far perdere di vista il vero obiettivo (è la storia del dito che indica la luna, senza specificare chi guarda il dito; a buon intenditore…) che deve essere quello di fermare l’operazione.
Ininfluente se essa sia illegittimae/o illecita (ciò potrà, semmai, formare oggetto di indagine dell’Amministrazione o di chi ne ha competenza), in quanto essa è certamente INOPPORTUNA ed improvvida.
E’ questo il momento di prendere coscienza di quanto accaduto e fermare la procedura di vendita del suolo, specialmente se, come sembra, la stessa non si è ancora conclusa, anche in ossequio ai proclamati principi di amore per la città, correttezza e trasparenza, cui l’attuale amministrazione intende ispirarsi.
Certo suscita sconcerto e lascia quantomeno perplessi il fatto che il privato compratore abbia da tempo aperto sul posto un cantiere ed abbia dato inizio a lavori , demolendo muretti, pavimentazione e quant’altro, ed interrando colate di cemento armato tali da indurre ad ipotizzare, ad un profano, la costruzione di un bunker.
Colmo dei colmi, all’ingresso del cantiere, i cui lavori sembra siano stati sospesi, è esposto in bella mostra un ambiguo cartello che specifica che si tratta di “LAVORI DI REALIZZAZIONE DI AREA VERDE”, ed indica poi la proprietà ed il progettista ed il direttore dei lavori medesimi.
Orbene, delle due l’una: o si è inteso fare delle indisponente ironia (quasi uno sberleffo alla città), oppure il concetto di “Area verde” del progettista è alquanto bizzarro e singolare”.
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