Palmi, Liceo Pizi condanna e poi assolve le Fenicie di Euripide

LICEO PIZI

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Lo scenario classico che si è aperto mercoledì, 17 maggio, per gli alunni del Liceo Classico “N.Pizi” di Palmi non ha riservato sorprese rispetto alle loro aspettative: giornata di mite clima del Sud e ambienti storico-archeologici che amano essere “visitati” da esperti  nel settore. Infatti, tutti gli alunni del Classico hanno assistito a Siracusa, nel meraviglioso teatro greco, alla rappresentazione drammatica de “Le Fenicie” di Euripide, dramma i cui protagonisti, sopraffatti da un crudele destino, appaiono manovrati come burattini dalle mani degli dei. La triste e quanto mai “vergognosa” vicenda di Edipo si è snodata su una skenè coperta da un enorme manto rosso, a simboleggiare il sangue versato e quello ancora da versare per espiare una colpa atavica che grava sullo sfortunato Edipo. I suoi due figli, Eteocle e Polinice, entrambi guidati non più da amore fraterno ma da sete di potere, non accettano di venirsi incontro nel nome dell’affetto familiare, ma si lasciano sopraffare, come infatti soccombono, dalla triste egida della smania di potere che annienta l’affetto e fa trionfare l’odio. “Se è necessario violare la giustizia, è meraviglioso violarla per il potere”. È questa l’affermazione più forte di Eteocle che, come gnome, porta gli spettatori di oggi, come quelli del V secolo a.C., a meditare sulla vacuità delle sovrastrutture mentali che l’uomo si costruisce e persegue, anche a costo di versare il sangue fraterno.

Istruirsi sui temi della singola vicenda e poi partecipare alla rappresentazione drammatica dell’INDA di Siracusa è un’opportunità che il Pizi offre ai suoi studenti del Classico perché chi la promuove, la DS Maria Domenica Mallamaci, crede fortemente nell’alto messaggio formativo in essi contenuto. Di particolare effetto, infatti, il coro delle donne Fenicie, in scena in abiti moderni e con indosso una maschera grottesca, quasi a mettere in risalto l’impassibilità della loro presenza, in ottemperanza al poco valore che Euripide attribuiva alla funzione del coro, ormai quasi completamente slegato dall’intreccio della fabula e svuotato del suo primordiale senso di appartenenza al “drama”. La sua parte recitativa, ridotta al minimo degli interventi, è stata scandita tra brevi narrazioni dei fatti antecedenti e costernazioni sui casi presenti, quasi a dimostrare il loro straniamento ad una vicenda che lascia stupiti chi vi assiste, perché uccidersi tra fratelli, per il gusto del potere, è quanto mai impensabile e disumano in un territorio civile e non “barbaro”. E loro, straniere in cerca di aiuto in una terra “civile”, proprio nella bella  Tebe dalle 7 porte, loro malgrado, sono costrette ad assistere ai mali che Ate produce, a questo annebbiamento della vista che conduce due consanguinei ad uccidersi per reciproca mano in nome di un valore astratto e logorante qual è il potere. E le donne, quasi svuotate ed esterrefatte, restano in scena, quasi sempre da parte, impotenti, nullificando quella che doveva essere la loro richiesta di aiuto, davanti ad un male più grande che si sta consumando sotto i loro occhi sgranati, enormi, grotteschi, mentre assistono al fratricidio di Eteocle e Polinice.

Gli alunni con trasporto hanno seguito le grandi riflessioni politiche e sociali che si intrecciano in questo grande dramma euripideo che rappresenta la summa di tutte le versioni sul mito di Edipo. Euripide, infatti,  con abile maestria è riuscito a gestire, con sapienza di intreccio e con  bravura di focalizzazione su temi fondamentali, l’antica lotta per il potere che tutto distrugge e il piegarsi dell’uomo alla volontà divina che tutto abbatte. Si torna a casa con una pagina di letteratura in più e con tanti spunti di riflessione che si aprono a ventaglio sulla scenografia e sui costumi moderni, sulla tematica dell’odio che vince sull’amore, sulla dolce Antigone, in cui “ c’è nobiltà d’animo, ma anche follia” a voler seppellire il cadavere del fratello Polinice, anche contro il proclama del re Creonte. Nei giovani spettatori di oggi, come di allora, trionfa la catarsi dal male, con l’abiezione del potere così visceralmente perseguito, con il rigetto della hybris e con tanta simpatia nei confronti della tenera Antigone che resta in scena come guida del cieco padre Edipo, portando via con sé, nel lungo percorso dell’esilio verso Colono, un greve peso di colpe non estinte, ma lasciando un segno profondo per la sua nobile dignità di amore fraterno che vince sull’odio e per la sua ardente devozione religiosa verso i defunti, sentimento che supera le leggi terrene scritte dagli uomini. L’Atene classica del V secolo a.C. non è poi così antica. Questa la conclusione a cui sono pervenuti gli alunni del Pizi. Di particolare spessore anche la visita al Museo Archeologico “Paolo Orsi” di Siracusa, tappa quasi obbligata  per chi si reca come visitatore assetato di cultura: luogo che fa respirare un’aura sacra, tra le bacheche che custodiscono tesori di inestimabile valore storico-archeologico che gli allievi del Pizi hanno potuto ammirare.

Marilea Ortuso

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