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Il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, presieduto dal dottor Filippo Leonardo, ha disposto le remissione il libertà di Elena Bruzzise accogliendo il ricorso degli avvocati Antonio Managò ed Antonino Napoli.
Dopo quasi due anni di carcerazione preventiva torna in libertà, quindi, la figlia del presunto boss di Barritteri, Giuseppe Bruzzise che, secondo gli inquirenti, avrebbe ereditato la guida della cosca dopo l’omicidio del padre Giovanni detto “Spannavento”.
I Pubblici Ministeri della Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria contestano ad Elena Bruzzise il ruolo di partecipe alla cosca Bruzzise perché, a loro avviso, avrebbe fornito un importante contributo per la vita dell’associazione, recandosi ai colloqui con il padre Giuseppe, aggiornandolo sugli avvenimenti più recenti e ricevendo da questi direttive, da eseguire direttamente e/o da comunicare a soggetti fuori dal carcere, più in generale mettendosi a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo.
Dopo l’annullamento con rinvio, da parte della prima sezione della Cassazione, dell’ordinanza che in sede di riesame aveva confermato la massima misura cautelare, il Tribunale della Libertà, accogliendo la tesi degli avvocati Antonio Managò ed Antonino Napoli, ha ritenuto che la condotta della giovane donna non configurasse la partecipazione al reato associativo in quanto, per come ritengono i giudici di Piazza Cavour, “non può ritenersi sufficiente a configurare la partecipazione ad un’associazione mafiosa la mera conoscenza e trasmissione di informazioni attinenti alla cosca, da parte del congiunto di un boss detenuto in visita allo stesso, col relativo corredo di commenti e valutazioni, non accompagnata da alcuna indicazione circa la disponibilità dello stesso congiunto ad apportare un concreto contributo, anche minimo, alla vita dell’associazione per assicurarne continuità e operatività all’esterno”.
L’operazione “Cosa mia” era scattata, in seguito ad un’indagine condotta dalla Questura di Reggio Calabria e dal Commissariato di Palmi, coordinati dalla DDA di Reggio Calabria, che si era occupata delle attenzioni che alcune famiglie operanti nel territorio compreso tra Palmi, Seminara e Barritteri, avevano sugli appalti nei cantieri del costruendo quinto macrolotto della Salerno-Reggio Calabria.
Come era emerso dagli atti dell’inchiesta “Arca”, che si era occupata delle infiltrazioni mafiose nei lavori del quarto macrolotto, le cosche avrebbero preteso dalle imprese il versamento del 3%, quale tassa “ambientale” di sicurezza imposto nei territori di competenza.
Proprio il conflitto per stabilire chi doveva intascare il “pizzo” avrebbe provocato il riaccendersi della faida di Barritteri che aveva lasciato sul terreno altri nove morti ammazzati.
Elena Bruzzise, seppur scarcerata, rimane imputata nella tranche del processo “Cosa Mia” che si sta celebrando con il rito ordinario davanti alla Corte di Assise di Palmi, presieduta dalla dottoressa Silvia Capone, la cui prossima udienza è fissata per lunedi 13 febbraio per l’esame, da parte dei Pubblici Ministeri Roberto Di Palma e Giovanni Musarò, del teste Maximiliano Orrico sulle intercettazioni ambientali in carcere captate ai detenuti Gallico e Bruzzise.
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