Questo post é stato letto 38530 volte!
Con la sentenza della prima sezione della Corte di Assise di Appello, presieduta dal dott. Fabrizio Pasi ed a latere il consigliere dott.ssa Isabella Diani, si è conclusa – con molta probabilità, salvo l’ennesimo ricorso in Cassazione, questa volta del Procuratore Generale –quella che sembrava una storia giudiziaria senza fine durata 13 anni con 3 giudizi davanti la Corte di Assise di Appello di Torino e due annullamenti con rinvio da parte della Corte di Cassazione.
Domenico Rettura e Rocco Fedele, calabresi di Taurianova in provincia di Reggio Calabria e titolari di una ditta che si occupava della lucidatura dell’ottone grezzo utilizzato per la realizzazione dei rubinetti – la “Pulimetal” di Paruzzaro (Novara) – sono stati assolti dai reati di omicidio ed occultamento di cadavere di un loro operaio, il senegalese Mohammed Sow, scomparso il 16 Maggio 2001 dalla provincia di Novara.
Della scomparsa e dell’ipotesi di omicidio ed occultamento di cadavere, formulata dal Pubblico Ministero del Tribunale di Verbania, si erano occupati con interesse la stampa locale e nazionale tanto che la nota trasmissione di Rai Tre “Chi l’ha visto?”, condotta da Federica Sciarelli, oltre ad aver dedicato al caso numerose puntate è stata presente con le proprie telecamere durante tutte le udienze del processo di primo grado.
I due giovani calabresi, difesi dagli avvocati Antonino Napoli del foro di Palmi ed Alessandro Gamberini del foro di Bologna, dopo essere stati assolti dalla Corte di Assise di Novara, nonostante il pubblico ministero avesse chiesto per entrambi la condanna all’ergastolo, sono stati successivamente ritenuti colpevoli, del reato di omicidio preterintenzionale, dalla Corte di Assise di Appello di Torino.
La Corte di Assise di Appello, in accoglimento delle richieste della procura generale, aveva disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con la nomina, quale perito della Corte, del generale Luciano Garofano, all’epoca comandante dei RIS di Parma, mentre la difesa aveva nominato quale proprio consulente il professore Enrico Marinelli dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”.
Oltre alle indagini sulla scena del crimine e sul DNA, la Corte di Assise di Appello di Torino aveva ritenuto indispensabile una perizia grafologica sulla firma apposta sull’ultima busta paga ricevuta da Sow.
Avverso la condanna degli imputati, gli avvocati Antonino Napoli e Alessandro Gamberini avevano proposto ricorso in Cassazione.
La Corte, in accoglimento delle tesi difensive e disattendendo la richiesta di conferma della sentenza impugnata avanzata dal procuratore generale, aveva disposto l’annullamento con rinvio davanti ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Torino.
Il nuovo processo, celebrato davanti alla seconda sezione della Corte di Assise di Appello di Torino, aveva confermato il giudizio di colpevolezza di Rettura e Fedele condannandoli a 14 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale.
I giudici dell’appello avevano nuovamente rinnovato l’istruttoria dibattimentale conferendo l’incarico di trascrivere e ripulire alcune tracce audio delle intercettazioni ambientali con software più moderni a due periti, mentre la difesa si era avvalsa della consulenza dei professori Luciano Romito e Giampiero Benedetti, due dei maggiori esperti nazionali di fonetica forense.
Anche avverso la sentenza resa dalla seconda sezione della Corte di Assise di Appello di Torino la difesa aveva proposto ricorso alla Suprema Corte.
La prima sezione della Corte di Cassazione, nonostante la richiesta di conferma della sentenza impugnata da parte del procuratore generale dottor Francesco Iacoviello, ha accolto il ricorso degli avvocati Napoli e Gamberini disponendo un nuovo giudizio davanti ad altra sezione della Corte di Assise di Appello.
Nel nuovo giudizio di appello, il Procuratore Generale dott. Vittorio Nessi, con la sua lunga requisitoria aveva richiesto la condanna di Rocco Fedele di Domenico Rettura rispettivamente alla pena di 24 e 20 anni di reclusione.
Gli avvocati Gamberini e Napoli, hanno contestato gli indizi evidenziati dal procuratore generale, le prove scientifiche che si sono avvalse del moderno sistema del “Bloodstain Pattern Analysis” e le indagini della polizia giudiziaria che si sono concentrate solamente sui due imprenditori tralasciando ogni altra indagine.
Ascoltate le repliche del procuratore generale e dei difensori, la Corte di Assise di Appello di Torino, dopo quasi quattro ore di camera di consiglio, ha assolto entrambi gli imputati confermando la sentenza di assoluzione di primo grado.
L’avvocato Antonino Napoli, seppur soddisfatto dell’esito del giudizio, non ha mancato di rilevare che: “fa riflettere il tempo necessario al nostro sistema giudiziario, oltre 13 anni, per giungere ad una sentenza che rispetti il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio quando gli indizi raccolti durante le indagini appaiono fin dall’inizio inconsistenti”.
Questo post é stato letto 38530 volte!