Questo post é stato letto 30930 volte!
Gioia Tauro, città nata nel VII secolo A. C., città storica oggi rimane inserita in un groviglio di burocrazia che potremmo definire nazionale – calabrese. Certo, chi legge Gioia Tauro pensa subito al suo porto di interesse internazionale che, bisogna dirlo, è vanto di una terra generosa che vuole ancora di più crescere ma che trova nella sua stessa organizzazione regionale dei paletti attualmente insormontabili. Gioia Tauro è, infatti, la rappresentazione vivente di una città messa in ginocchio da un paradosso: la sua ricchezza. Infatti questa è mira di organizzazioni preordinate ad arte perché le risorse locali vengano sfruttate a solo vantaggio di chi quelle risorse controllano. Infatti mentre il Porto potrebbe generare ben oltre i circa 2000 posti di lavoro tra dipendenti e indotto solo che si autorizzasse e si credesse nella trasformazione e ricollocazione dei prodotti oggi solo oggetto di trashipment (il semplice passaggio di container dalle grandi alle piccole navi per la distribuzione nel corto raggio), le vastissime aree agricole (di cui circa 40.000 ettari coltivati ad agrumi e 60.000 ad uliveto) vengono gestite commercialmente da due, solo due, O.P. cioè Organizzazioni di Produttori, riconosciuti per come tali dalla Regione Calabria sulla cui struttura e organizzazione ci si permette di dubitare.
Infatti non è dato conoscere né sapere come sia possibile che i vertici di tali organismi non risentano di alcuna crisi economica quando i produttori, che da quelle organizzazioni dovrebbero essere tutelati e valorizzati, sono letteralmente ridotti alla fame e sono costretti a soluzioni contra-legem (vedasi i fatti di Rosarno) per contenere i plurimi costi rispetto al ricavato dei loro prodotti. In presenza di O.P. è naturale ed ovvio che si costituiscano le filiere sicché dal produttore sino ad arrivare al commerciale si forma una continuità di intenti: valorizzare al meglio il prodotto perché la ricchezza locale sia fonte di soddisfazione reciproca e dia lavoro permanente tenuto conto di tutte le variabili che incidono sul prezzo finale. Nel caso di specie, viceversa, si assiste alla regola contraria: i produttori, in assenza di altri sbocchi commerciali, sono costretti a vendere il loro prodotto alle O.P. a circa € 0,15 centesimi cioè sotto costo (!), il tutto a loro rischio e pericolo, anche morale stante le devastanti notizie di stampa ove proprio gli agricoltori sono stati tacciati di schiavismo mentre nessuno ha puntato il dito sulle reali cause.
Oggi questo andazzo si è ulteriormente aggravato con l’accordo europeo ( n ° 15975/2010) che permette al Marocco di esportare i suoi agrumi senza ulteriori oneri e senza controlli sanitari. L’incondizionata apertura dei canali commerciali se non è accompagnata da una politica di salvaguardia e riorganizzazione interna rappresenta un altrettanto sicuro rischio mortale per la già depressa area agricola di Gioia Tauro. E’ evidente l’abbandono dei politici regionali a salvaguardare le risorse del posto ed è altrettanto evidente che tutto ciò è preordinato diabolicamente a costringere gli agricoltori onesti e laboriosi ad abbandonare le proprie terre perché queste ultime siano oggetto di razzia in una negoziazione al ribasso, naturalmente le terre verranno acquistate dai dirigenti delle O.P. a prezzi stracciati, le stesse O.P. che succhiano milioni di euro dalla regione e dai fondi europei senza alcun beneficio per gli agricoltori. La situazione di degrado e di abbandono è stata oggetto di interrogazione parlamentare presentata dai deputati Nesci e Parentela del M5S già in data 16 maggio 2013. E’ trascorso più di un anno e mezzo ma il Ministero delle politiche agricole a cui è stata rivolta non ha avuto ancora il tempo di dare alcuna risposta.
Le proposte che il M5S vuole portare avanti sono semplici e di immediata attuazione: 1) riorganizzazione del settore agricolo produttivo, strutturale, infrastrutturale e riduzione della filiera; 2) rigenerazione e valorizzazione, anche con una politica energetica mirata, della produzione che miri alla qualità e unicità; 3) stipulare convenzioni con enti pubblici e commerciali per la diffusione del prodotto (ad esempio i distributori Eni posti su tutto il campo nazionale o altri diffusori anche internazionali); 4) inserire il prodotto dell’agricoltura in organizzazioni di trasformazione che sappiano soppesare il bene naturale nel suo valore reale rispettoso delle componenti di costo e di guadagno; 5) operare delle intese fiscali anche a livello statale e europeo che tengano conto delle realtà correlate alle aree definite depresse; 6) operare delle manovre compensative mitiganti il pregiudizio nascente da politiche di apertura con aree rivierasche e ad economia differenziata al ribasso; 7) rivisitare l’intera area inserendo, accanto all’economia attuale, nuova economia derivante dalla rivalutazione dei siti archeologici millenari e dalla riscoperta dei borghi e località di eccellenza così proponendo quella terra quale prodotto turistico internazionale.
Questo post é stato letto 30930 volte!