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di Francesco Iriti
«Quali urgenti iniziative si intendono assumere al fine di impedire lo scempio della costruzione della centrale a carbone nell’area ex Liquichimica di Saline, anche per assecondare le posizioni delle locali istituzioni e dell’intero consiglio regionale calabrese». L’onorevole Angela Napoli ha mosso un’interrogazione parlamentare ai Ministri dell’Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare e dello Sviluppo Economico sulla questione della centrale a carbone e sulle intenzioni di sviluppo che le istituzioni hanno sull’intera area.
«Le centrali a carbone sono fonti a maggiore emissione specifiche di CO2 per la produzione elettrica e, quindi, nuove costruzioni contribuirebbero in maniera rilevante allo sforamento del target nazionale di Kyoto, ma anche ad un mancato adeguamento agli impegni che l’Unione europea ha assunto per il 2020 con l’approvazione del pacchetto “energia e clima”, ribaditi alla Conferenza di Copenaghen nel dicembre 2009». La Napoli fa un ampia disamina sulla vicenda nazionale in quanto «se dovessero entrare in funzione tutti i progetti avviati e ormai conclusi (Civitavecchia), quelli autorizzati a tutt’oggi (Fiumesanto, Vado Ligure e Porto Tolle) o quelli ipotizzati (Saline Joniche e Rossano Calabro), a regime si produrrebbero in più 39 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, nel mentre l’Italia dovrebbe ridurre le sue emissioni di gas serra di 60 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2020».
Subito dopo, la parlamentare scende nello specifico ricordando il parere positivo della Commissione Via aggiungendo che «nel luglio del 2008 l’interrogante con atto ispettivo n. 4-00560, privo di risposta, aveva chiesto adeguate iniziative al fine di impedire lo scempio della costruzione della centrale a carbone nell’area ex Liquichimica di Saline». La Napoli non accetta che «il territorio di Saline Joniche, uno dei pezzi più belli della costa reggina calabrese, che è stato per tanti anni simbolo negativo di scelte miopi ed investimenti falliti, dovrebbe poter diventare simbolo positivo di uno sviluppo rispettoso della storia e del senso dei luoghi, capace di creare “buona” economia e lavoro pulito e di qualità: cosa impossibile con la costruzione di una centrale a carbone». Ripercorrendo i dati tecnici del progetto della Sei, per cui «sarebbe stata impegnata una iniziale ingente cifra di un miliardo di euro, cui si aggiungerebbero 500 milioni di euro di investimento per le infrastrutture, più 1,7 milioni di euro all’anno per i costi di esercizio» ed il fatto che «il primo relativo progetto, datato luglio 2007, corredato dalle modifiche richieste dal Ministero dell’Ambiente, è visibile solo sul sito apposito, mentre un secondo progetto, presentato nei giorni scorsi con grande segretezza, non sarebbe noto».
La preoccupazione di Angela Napoli parte dall’assunto che nonostante «contro la costruzione si sono già espressi gli Enti locali del territorio, della provincia e della Regione e tutte le Associazioni ambientaliste e pur se la SEI ha proposto alcune ipotesi di “Compensazione territoriale”, i rischi della centrale rimarrebbero alti, alla luce del fatto che il carbone produce ben 67 elementi tossici inquinanti»
La stessa Napoli getta anche dubbi sugli «interessi, mai chiariti, che graviterebbero sulla SEI, ma anche quelli della SIPI, titolare dell’area sulla quale sorgeva l’ex Liquichimica, nel comune di Montebello Jonico, e per anni fonte di speculazione. D’altra parte appare davvero inconciliabile la scelta della costruzione – conclude Angela Napoli – di una nuova centrale a carbone con le offerte, sicuramente più qualificate anche dal punto di vista ambientale, di altre fonti alternative.
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