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Sul Parco Archeologico di Sibari in questi giorni sommerso dalle acque del Crati la pioggia è tornata a cadere copiosa. L’acqua che da una settimana ha letteralmente invaso l’importante sito proviene da una grossa falla che si era aperta lungo l’argine del fiume e che la Provincia aveva temporaneamente tamponato. Ora la situazione è divenuta ancor più grave ed allarmante. E i vigili del fuoco, richiamati dopo quattro giorni di intenso lavoro (sembra perché costretti dalla penuria di gasolio), sono tornati con tre idrovore (prima ce n’era una sola a disposizione) e stanno dando il massimo per riportare la situazione sotto controllo.
Una situazione paradossale, allarmante, addirittura sconcertante ad avviso della direttrice del Parco Archeologico di Sibari Silvana Luppino, contattata per avere lumi sulla vicenda. Perché è evidente che “non è nostro compito curare la pulizia degli argini o segnalare eventuali criticità. È compito degli organismi competenti assicurarne la manutenzione dei corsi d’acqua, monitorare lo stato degli argini, delle golene, degli alberi”. Di chi è dunque la colpa per le evidenti negligenze? “La legislazione regionale parla chiaro – aggiunge la direttrice – l’ente Provincia e l’Afor hanno la piena responsabilità”. E la Protezione civile regionale, che dovrebbe intervenire tempestivamente in caso di alluvioni, e dunque addirittura quando a rischio c’è anche la vita dei cittadini? “Ci hanno dato solo un piccolissimo aiuto – spiega la Luppino – mettendo a disposizione dei volontari intervenuti con delle idropulitrici… Pensavamo che un organismo del genere fosse pronto per ogni evenienza, ma ci dicono di non avere i messi idonei…”. Un’amara sorpresa che mette a nudo le drammatiche lacune del sistema.
«La mancata messa in sicurezza del territorio – dichiara Andrea Dominijanni, vicepresidente di Legambiente Calabria – è sicuramente una delle cause di questo disastro. Esempio emblematico della dolosa assenza di controllo del territorio, la presenza nel letto del fiume Crati di agrumeti, presenti anche durante l’alluvione nel 2008 e altri di nuovo impianto. L’area archeologica sommersa da acqua e fango ha bisogno di un intervento con mezzi tecnici ed economici adeguati per realizzare rapidamente un piano di risanamento dell’area a medio e lungo termine».
La tragedia che sta investendo il Parco Archeologico di Sibari, uno dei siti più estesi ed importanti del Mediterraneo di età arcaica e classica, sommerso dal fango, riporta l’attenzione su uno dei cavalli di battaglia del Cigno Verde: la necessità in Italia di una legge che difenda la bellezza e la valorizzi. «Un tema – afferma Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente – che a nostro avviso va posto in cima all’agenda politica del nuovo Parlamento e delle nuove amministrazioni. Perché la bellezza è il tratto distintivo della nostra identità. Per questo motivo Legambiente aderisce all’appello al Presidente della Repubblica e a tutti gli Enti competenti per salvare il patrimonio culturale dell’area, promosso dal Quotidiano della Calabria».
«La bellezza è la principale caratteristica che il mondo riconosce all’Italia. Scommettere anche in Calabria sulla bellezza non è un vezzo – conclude Francesco Falcone, presidente di Legambiente Calabria – è la chiave per immaginare un futuro oltre la crisi. Lì stanno le nostre radici, la nostra identità, e da lì dobbiamo partire per costruire il nostro sviluppo».
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