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La crisi della pesca nella nostra regione e le dure proteste delle marinerie calabresi impongono una seria riflessione, perché è chiaro che il futuro della Calabria passa dal mare e dalle coste, e dunque dalle sinergie che in futuro si sapranno costruire tra turismo e pesca. Vogliamo fornire un contributo al dialogo e al percorso costruttivo avviato su iniziativa della CGIL Calabria con i pescatori. È fondamentale nella nostra regione cogliere l’occasione rappresentata dalla riforma della “Politica comune della pesca”, uno strumento che può rivelarsi utilissimo per far uscire il settore dalla crisi che vive. Occorre avviare una politica di condivisione e di confronto con gli attori istituzionali, la gente di mare, con il mondo scientifico, le forze sociali ed ambientaliste per fermare la pesca eccessiva, mettere fine alle pratiche distruttive e a conseguire un giusto ed equo utilizzo degli stock ittici in buona salute.
Pare ormai condivisa la valutazione sul sovrasfruttamento di buona parte degli stock europei e mediterranei in particolare. In questo il nostro Paese non rappresenta un’eccezione: l’emergenza cronica, che dunque non ha più nulla dell’eccezionalità, fa registrare una diminuzione media del 5-6% dei quantitativi pescati tra il 2004 e il 2009 e del 4-5% dei ricavi e dei posti di lavoro. In una situazione del genere la riforma della PCP diventa allora occasione per ripensare un modello fallimentare: il pescato non più superare la capacità riproduttiva delle specie, e rispettando queste condizioni si potrà raggiungere entro il 2015 quel “rendimento massimo sostenibile” auspicato dall’Ue. Il tutto a salvaguardia del patrimonio ittico, ma anche dei profitti: uno studio della Commissione europea rileva che se gli stock fossero sfruttati in modo sostenibile le loro dimensioni aumenterebbero del 70%, con margini di profitto triplicati e crescita del valore aggiunto del settore del 90%. Noi riteniamo che il nostro Paese debba sostenere attivamente il traguardo del 2015 senza rinvii, deroghe ed eccezioni che hanno caratterizzato spesso la politica della pesca in Italia con i risultati che conosciamo.
Occorre inoltre introdurre meccanismi di premialità ambientale: l’accesso alle risorse dovrebbe essere assegnato a chi pesca nel modo più sostenibile e punta sul lavoro, piuttosto che essere elargito indiscriminatamente anche a quanti, nel passato, sono stati artefici del sovrasfruttamento delle risorse. In questo senso va sottolineata l’importanza delle aree protette di pesca (o zone di tutela biologica) come strumento per imprimere una svolta al settore. E in questo senso le misure adottate nella riforma della PCP devono essere indirizzate a dare una prospettiva e un futuro alla pesca, e non ad accompagnarlo ad una sorta di “buona morte” attraverso pratiche di mero ridimensionamento.
Insomma bisogna investire e puntare sul settore della piccola pesca costiera artigianale, il comparto con il minor impatto ambientale, il più alto tasso di occupazione e la migliore integrazione con le politiche di buona gestione del territorio. Eppure questo settore non ha mai conosciuto significativi progetti di promozione e sviluppo che facessero leva sui temi della tracciabilità, della qualità del prodotto, della cosiddetta “filiera corta” e commercializzazione diretta che si stanno sperimentando con successo nel campo agricolo. È fondamentale avviare processi di etichettatura del prodotto, iniziative di promozione in collaborazione con le aree marine protette, esperienze di vendita diretta del pescato a cominciare dal cosiddetto “pesce a miglio zero”. Si tratta di iniziative che renderebbero l’attività della piccola pesca artigianale da un lato più remunerativa, dall’altro più moderna.
Ecco, queste in sintesi le azioni che potrebbero invertire la rotta della condizione di crisi che vive la pesca regionale, un settore fortemente segnato dalle questioni ambientali, che assuma una volta e per sempre i temi della sostenibilità come precondizione per la crescita e lo sviluppo, che sia in grado di dimenticare termini come “illegalità”, “sovrasfruttamento delle risorse”, “deroghe” e si decida a fare il salto verso la qualità e la modernità. Occorre risolvere i problemi della pesca e dei pescatori per costruire un futuro migliore per pesci e pescatori. E lo strumento da utilizzare è appunto quello dei Piani di gestione locale, nel rispetto dei principi della Direttiva quadro per la strategia marina. I problemi sociali ed economici nel settore della pesca da un lato e il collasso degli stock ittici dall’altro non sono infatti due questioni contrapposte che richiedono soluzioni separate. La soluzione di una è la risposta all’altra.
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