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Da Concessa a Gallico, passando per Ravagnese, in piena stagione balneare esplode la bomba della depurazione calabrese. Perché il sequestro dell’impianto di Reggio Calabria è solo l’ennesimo episodio inquietante della stagione 2012. Una situazione che, in realtà, si protrae irrisolta da anni, e per molti versi peggiora, come dimostrano le diverse inchieste, senza alcuna garanzia per la salute dei cittadini né per quella del mare.
“L’immagine della città dello Stretto, a cui in molti dicono di tenere e in pochi hanno davvero a cuore, è gravemente compromessa dal sequestro del sito di Concessa – dichiara Cristina Riso, segretaria del Circolo di Reggio di Legambiente – e dalle drammatiche condizioni della costa a causa della depurazione inefficace delle acque reflue. Una emergenza che tale non è: da troppi anni lo stato del sistema è sotto la lente dell’Amministrazione e delle istituzioni regionali. Non ci si può più nascondere dietro un dito, occorre dare risposte immediate agli abitanti e ai potenziali turisti”.
Ma il caso reggino è solo uno dei tasselli del mosaico del disastro calabrese. Secondo i dati della Smeco rilanciati sulla stampa, su 459 depuratori il 43% è inadeguato, il 30% ha capacità insufficienti o scarse e solo il 27% è sufficiente e con qualche ritocco potrebbe funzionare bene. Ecco che i sequestri degli impianti a Crotone, a Cassano (con i sigilli ai sei impianti, secondo le indagini fermi addirittura dal 2009) completano il quadro. Di fronte al disastro, si è deciso di ridurre addirittura i controlli: i prelievi di verifica della balneabilità si fanno solo una volta al mese, a partire dal 1° aprile e fino alla chiusura della stagione.
È il sistema dei controlli a generare forti perplessità, pensando al ruolo autonomo che l’Arpacal deve avere quale organismo tecnico-scientifico che fornisce la propria attività di supporto alle istituzioni per lo svolgimento dei compiti loro attribuiti dalla legislazione nel campo della prevenzione e della tutela ambientale. Ma non solo: “Desta forte preoccupazione il mancato insediamento del Comitato regionale – dichiara Andrea Dominijanni, della segreteria regionale di Legambiente – che è un organo di indirizzo e di verifica dei risultati dell’attività dell’Arpacal con compiti generali di indirizzo verso il direttore generale che esprime pareri su tutti gli atti e svolge azione coordinamento delle attività di tutela ambientale e di prevenzione primaria collettiva”. Un organo decisivo, dunque, al quale la legge dà poteri simili a quelli di un cda ma i cui componenti però sono comuni, province, sindacati ed associazioni ambientaliste.
In ogni caso, che il sistema dei controlli sia insufficiente lo dimostrano da anni i monitoraggi effettuati dalla Goletta Verde di Legambiente, che anche quest’anno misurerà la febbre dei nostri mari: i dati 2012 saranno presentati nel corso della tappa di Roccella Ionica del 24-25 luglio. Le premesse non sono delle migliori: sono decine le segnalazioni dei cittadini allarmati dal mare sporco e dagli scarichi abusivi lungo le coste. I bagnanti, evidentemente, la pensano diversamente da chi, con proverbiale faccia tosta, s’affanna a rassicurare la gente, anche di fronte all’evidenza: il nostro mare è ridotto a una fogna a cielo aperto.
Ma occorre uno scatto di reni: i sindaci devono “adottare” i depuratori della propria città, farsi promotori dei piani di ammodernamento e di potenziamento, creare sinergie con Arpacal e Regione Calabria, che devono dal canto loro avviare un piano straordinario di monitoraggio delle acque marine. Solo così la Calabria potrà non tradire le aspettative dei turisti. E le ultime speranze dei suoi abitanti.
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