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Il giorno dopo l’anniversario che colpì la città di Reggio e Messina, Giacomo Battaglia, attore del film “quel che resta” incentrato sul terremoto del 1908 ha sentito l’esigenza di ricordare il passato e di sottolineare il ruolo di chi oggi può meglio costruire il presente.
Il mio pensiero va a chi, realmente, ha udito il terrificante boato del terremoto; a chi si è trovato sotto le macerie; a chi ha perso e a chi si è perso nel tumultuoso frastuono di quel 28 dicembre del 1908.
Da attore nel film “quel che resta” sul terremoto di Reggio e Messina posso affermare che immergersi nei panni di quel tempo, indossando gli abiti di chi ha vissuto il sisma, dà la possibilità di comprendere meglio ciò che è stato il dramma oggi sconosciuto alle nuove generazioni e portato come peso da chi un tempo era bambino.
È questa la storia del cuore, dei sentimenti delle attese e delle speranze. È la storia di uomini, donne e bambini che pur avendo perso tutto hanno conservato la forza per ricominciare.
A loro il mio affetto così come la mia riconoscenza per aver essere stati coloro che hanno deciso di costruire una nuova storia ed una nuova vita al di là delle macerie.
Non erano state spezzate le case e non solo le vite di chi ormai non c’era più ma soprattutto il cuore di chi era rimasto obbligato a vivere il dramma del dramma. Questa la cosa che più fa riflettere.
Eppure il grande popolo della Calabria è riuscito ad andare oltre. Il cuore tremava mentre le miserie e le angosce precipitavano nella vita di chi avrebbe dovuto segnare il futuro.
Sono convinto, però che il passato se pur triste, non può e non deve restare incompreso. La storia ci appartiene e i suoi stessi segni delineano nello spazio, anche se apparentemente vuoto, il contenuto di chi ha saputo reagire al sisma per andare avanti.
Dentro la pellicola del film ho vissuto le emozioni di chi c’era, calandomi però nel dramma di ciò che era rimasto e interiorizzando quello di chi, purtroppo, non c’era più.
Per questo posso affermare che sono orgoglioso di essere Calabrese e quindi reggino perché in me, così come in tutti coloro che sono di questa terra, non scorre solo il calore del sole ma anche la forza di chi ha saputo andare avanti, di chi, tra fatiche, miserie e stenti non si è arreso. Dentro di noi scorre la vita di chi non ce l’ha fatta e quella di chi è riuscito ad uscire dalle macerie per abbracciare il nuovo ma sconosciuto giorno.
Ai giovani dico che loro, al pari di quelli che nel 1908 non si sono arresi ma hanno guardato avanti, devono, oggi più che mai, dimostrare di sapere essere ciò che di positivo esiste nella vita per fare della stessa l’alba del nuovo giorno che tutti aspettano.
A loro dico di costruire con saggezza il futuro e con serietà il presente perché il rispetto delle regole garantisce la collettività. Non giovani e futuro improvvisati ma leve capaci di portare con orgoglio e a testa alta il tempo che si vive.
Solo così il passato, i sacrifici e le vittorie avranno senso. Solo così porteremo con orgoglio le ferite del passato che ci impongono di non dimenticare ma soprattutto di guardare al mondo con ottimismo ed equilibrio.
A loro il compito di costruire la vita al di là dei terremoti moderni. A loro l’importante ruolo di saper uscire dalle macerie da quel “modernismo” cruento che svilisce l’uomo dal suo stesso “io” facendolo sentire distante dal suo stesso cuore.
Le baracche esistono ancora; esistono nella vita di chi non riesce a costruire il futuro, nella vita di chi non riesce a spostare i resti di quel passato che ancora viene considerato presente tanto da procurare sofferenza e nella vita di chi ancora non ha trovato la strada.
Il mio augurio è che i giovani riescano ad elaborare con chiarezza la propria esistenza al pari di chi nel 1908 ha elaborato il progetto di una nuova citta e soprattutto ai giovani il compito di spostare non più i massi dalla strada ma quanto in loro impedisce di poter volare liberamente.
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