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Da Legambiente una richiesta che ha il tenore quasi di un ultimatum al Ministro dell’Ambiente Clini e al governo Monti: stop definitivo e senza tentennamenti alla centrale a carbone di Saline Ioniche, progetto emblematico di un disastroso modello energetico, e rilancio del territorio in chiave turistica, di innovazione tecnologica nel rispetto dell’ambiente.
Una ferma presa di posizione che arriva all’indomani della timida apertura possibilista del neo ministro all’Ambiente sull’investimento della società Repower e del Gruppo SEI che è sembrato palesarsi in occasione della sua visita in riva allo Stretto. Una presa di posizione che ribadisce i nodi essenziali del no al carbone: tutela dell’ambiente e tutela della salute dei cittadini, inconciliabilità con le scelte energetiche e di sviluppo necessarie per la Calabria e per il territorio ionico di Capo Sud.
Nel corso dei lavori dell’XI congresso nazionale di Legambiente, i dirigenti del Cigno Verde hanno approvato all’unanimità un’importante mozione che boccia senza appello l’idea di un impianto a carbone nell’area industriale dell’ex Liquichimica di Saline Ioniche. Primo firmatario del documento Nuccio Barillà, sostenuto dalla delegazione calabrese presente in assemblea, dai massimi dirigenti nazionali dell’associazione nonché dai delegati delle varie regioni.
Legambiente si rivolge direttamente al nuovo governo e invoca massima attenzione sulla procedura autorizzativa, ancora in corso, per la realizzazione del sito. Le tesi generali sono quelle del movimento no coke: un malaugurato via libera rappresenterebbe “un atto grave e pericoloso” che violerebbe l’impegno di ridurre i gas serra, “facendo aumentare di almeno 7,5 milioni di tonnellate annue le emissioni di CO2”. Una scelta scellerata che “peggiorerebbe la dipendenza energetica dall’estero e andrebbe in controtendenza rispetto alle indicazioni venute dal referendum sul nucleare”, e “costituirebbe una follia per la Calabria, regione che esporta energia per una quota superiore al 50% rispetto alla produzione e che ha scelto, attraverso un piano energetico, di escludere l’impiego del carbone e puntare sulle rinnovabili”.
Alle motivazioni ecologiche generali legate alle opzioni energetiche e ai mutamenti climatici, gli ambientalisti aggiungono quelle che riguardano in prima persona i cittadini delle comunità dell’Area Grecanica reggina. Innanzitutto la rivendicazione del diritto alla salute e del diritto all’autodeterminazione, considerato che la scelta del carbone “avrebbe inoltre effetti devastanti causati dalle polveri ultrasottili e da un cocktail di sostanze inquinanti su un territorio che ha enormi potenzialità turistiche e ambientali con numerosi siti di interesse comunitario e zone di protezione speciali e che, peraltro, ha già pagato un prezzo elevatissimo per le scelte sbagliate del passato”.
Dunque, Legambiente chiede al governo di schierarsi dalla parte dei cittadini, in difesa della loro salute e delle scelte compiute da importanti realtà del territorio, che danno lavoro e producono economia pulita: recupero dei borghi abbandonati, valorizzazione delle bellezze naturalistiche, turismo di qualità, produzioni d’eccellenza come quella del bergamotto. Un progetto industriale come quello proposto dalla SEI, ad alta intensità di capitale ma a scarsa ricaduta occupazionale e sociale, non solo non è accettabile in termini corretti di rapporto costi-benefici comprensivi di quelli sociali e ambientali, ma “contrasta nettamente con le scelte di sviluppo sostenibile che le istituzioni locali ed il territorio si sono dati”.
Non manca una puntualizzazione scientifica da parte del Cigno Verde, i cui esperti sono da sempre all’avanguardia nell’individuazione di tecniche e tecnologie sostenibili e nell’individuazione delle mistificazioni tecnologiche e sperimentazioni immature spacciate come svolta ecologica: “Lo stato attuale della ricerca non ha elaborato ad oggi nessun efficace miglioramento che consenta l’abbattimento della CO2, e inoltre la tecnologia cook capture and storage di ‘sequestro geologico dell’anidride carbonica’, è ancora in fase di sperimentazione, ha costi elevati, per cui si dovrebbero attendere molti anni prima che diventi eventualmente matura”. Una puntualizzazione che chiude ogni possibile diatriba.
Infine, secche e senza fronzoli le proposte contenute nella mozione. Legambiente chiede al governo Monti e al ministro all’Ambiente Clini di prendere atto della contrarietà espressa in piazza dalla gente e nelle sedi istituzionali dalla Regione Calabria e dal Ministero dei Beni culturali (nel precedente mandato) e “di rinunciare definitivamente al progetto di centrale, definendo piuttosto, di concerto con gli enti locali un programma di interventi alternativi per quell’area, capaci di ricreare un rapporto equilibrato tra uomo e natura e dare risposte occupazionali credibili e di qualità”. Una sfida ambiziosa: destinare risorse economiche, preziose in tempo di crisi, per fare dell’Area Grecanica un vero e proprio laboratorio di economia sostenibile e solidale. Una scelta impegnativa ma utile al Paese che avrebbe non solo il sostegno delle istituzioni locali ma anche l’appoggio convinto e corale degli ambientalisti, dell’associazionismo e soprattutto dei cittadini.
L’unanimità del voto espresso dagli oltre 800 delegati e il lungo e spontaneo applauso che lo ha accompagnato, hanno dato forza e sottolineatura ad una posizione inequivocabile di opposizione al carbone e alle fonti fossili precedentemente emersa nella relazione del Presidente nazionale Vittorio Cogliati Dezza, poi ribadita nel corso del dibattito e ripresa anche nel documento finale.
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