In libreria dal prossimo 15 ottobre il libro “La mia ‘ndrangheta” di Rosy Canale ed Emanuela Zuccalà

La mia 'ndrangheta

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La mia 'ndrangheta
La mia ‘ndrangheta

Una giovane donna che si ribella alla ’ndrangheta. Altre donne che da sempre, sull’Aspromonte, convivono con questa efferata organizzazione criminale.

La mia ’ndrangheta ha il carattere delle sue diverse protagoniste: è un libro crudele e ironico, appassionante e raggelante, fitto come la trama dei suoi destini al femminile che si incrociano su strade imbrattate di sangue e si riuniscono in queste pagine, seguendo un ritmo alternato tra inchiesta giornalistica e romanzo verità.

La voce narrante è di Rosy Canale, nata a Reggio Calabria, imprenditrice, vittima della boria della ‘ndrangheta e viva per miracolo. Finché si ritrova a San Luca, il paesino dell’Aspromonte ombelico delle cosche storiche, ad avviare un’attività di volontariato. E tra i vicoli in salita di un borgo che pare pietrificato a cent’anni fa, il suo dolore incontra quello delle donne del posto, madri delle vittime della famigerata strage di Duisburg, sorelle di altre vittime e carnefici di una faida senza fine.

Il libro è suddiviso in tre parti. Nella prima, Era tutto bianco, Rosy ripercorre la sua adolescenza a Reggio durante la cosiddetta seconda guerra di ‘ndrangheta, gli incontri con i boss De Stefano, le minacce subìte, la tragedia. E, in mezzo, l’amore, la figlia, il ritratto di una società malata dal quale emergono tante ipotesi sulla nascita e l’affermazione della ‘ndrangheta.

Nella seconda parte, Donne in Aspromonte, la protagonista s’inoltra a San Luca, paese di 4.000 abitanti ai piedi del massiccio montuoso, con un paesaggio e un silenzio che parrebbero fatati a chi ignorasse la faida tra le cosche Nirta-Strangio e Pelle-Vottari che dal 1991 allarga il cimitero. Il “mondo spento, lunare” dei pastori di Corrado Alvaro; quello ineluttabile della strage di Duisburg, ferragosto 2007: le immagini di sei corpi crivellati fuori da un ristorante in Germania fanno il giro del mondo e rilanciano San Luca, per chi ne avesse perso memoria, come il ventre della mafia calabrese. Dai ritratti delle donne che si riuniscono attorno a Rosy e dalla ricostruzione della faida mafiosa con i suoi vari personaggi, affiora l’anima di un micromondo contraddittorio: feroce e avvolgente, passionale e omertoso, carezzevole e violento, proprio come il carattere delle sue donne.

La terza parte, Dimenticare Duisburg, oltre a ripercorrere i progetti del Movimento Donne di San Luca (dalla creazione di una ludoteca nella villa confiscata al boss Antonio Pelle “Gambazza” fino alla mostra fotografica a New York), tenta un’analisi del massacro in Germania, ancora oscuro nelle sue reali motivazioni, e dell’ascesa criminale della ‘ndrangheta a livello internazionale, attraverso una puntuale ricostruzione giornalistica dei fatti e delle inchieste e le testimonianze dirette delle madri di due vittime.

Il viaggio delle autrici culmina nel pellegrinaggio al santuario di Polsi, nel cuore dell’Aspromonte, dentro la casa di quella che è stata definita “la Madonna della ‘ndrangheta”.

 

La mia ‘ndrangheta è diverso da altri libri sulle mafie. Perché per la prima volta ritrae San Luca – che potrebbe essere Corleone, così come Casal di Principe – dall’interno e da una visuale tutta al femminile. Perché alterna la cadenza serrata e scarna dei fatti di cronaca alle atmosfere morbide, talvolta paradossalmente ironiche, degli aneddoti personali e delle riflessioni intime. Perché le due autrici sono state minacciate prima ancora della pubblicazione, e una delle due ha dovuto rifugiarsi

all’estero. Perché tenta un progetto ambizioso: scavare a fondo nell’anima di un popolo. Per comprendere come, a certe latitudini, la criminalità organizzata trovi un terreno umano e sociale tanto fertile per prosperare e avvinghiare intere regioni nella morsa di un immobile sottosviluppo.

Ecco perché questo, come precisa Rosy Canale nelle note conclusive, non è banalmente un libro di ’ndrangheta.

 

LE AUTRICI

Rosy Canale

40 anni, è fondatrice e presidente del Movimento Donne di San Luca e della Locride, un’associazione che tenta di creare opportunità lavorative e culturali in un territorio ad altissima penetrazione mafiosa. Nel 2008 ha vinto il Premio per la Legalità del Comune di Locri. Alla sua storia (mai raccontata per intero come in questo libro) si sono interessate anche prestigiose testate straniere: il Los Angeles Times nel 2008, la rivista svedese Dagens Nyheter (allegata al maggior quotidiano del Paese), che le ha dedicato un servizio di 16 pagine nel novembre del 2011, e il britannico The Guardian, con un’intervista nell’agosto del 2012.

Emanuela Zuccalà

39 anni, è giornalista di Io donna (settimanale del Corriere della Sera), dove si occupa di inchieste sociali e reportage internazionali. Nel 2009 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Enzo Baldoni” con un articolo sugli stupri di guerra in Congo; nel 2007 il premio “Sodalitas Giornalismo per il Sociale” con un’inchiesta sul manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia; nel 2011 è stata finalista al Mediterranean Journalist Award della Anna Lindh Foundation con un reportage sui giovani rivoluzionari della Striscia di Gaza. Ha pubblicato i libri Risvegliato dai lupi, un viaggio nelle carceri italiane, e Sopravvissuta ad Auschwitz, la storia di Liliana Segre, fra le ultime superstiti italiane della Shoah ebraica (entrambi edizioni Paoline), e scritto i testi del volume fotografico La ruota che gira (ed. Contrasto) sull’infanzia in Cambogia.

Il suo sito è emanuelazuccala.blogspot.it

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Author: Cristina

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