Il grande equivoco: la cultura nelle mani di Benigni e Celentano

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La raccomandazione che si fa di solito agli intellettuali non è tanto l’aderenza al reale, quanto l’interpretazione d’una visione che, attingendo da questo, conduca verso l’idea di qualcosa che non s’è ancora veduto o ascoltato, verso un presupposto sociale. Cosa naturale in un luogo, quale l’Italia, dove la cultura e l’arte esistono come motivo di vita e come formatrici di opinioni. L’intellettuale, poi, conosce l’inizio o la fine dell’epoca in cui vive, i suoi elementi effimeri, i sintomi contingenti, e li supera. Il tempo dell’intellettuale non è il nostro tempo; egli parla dei secoli, anticipa la storia e i fenomeni; egli, ancora, è un intermediario tra noi e la storia, crea dalla parte il tutto e qualcosa dell’immanente dal provvisorio.

Ma accade, oggi, che il numero di coloro che lavorano ad un pensiero originale, che abbia la forza, cioè, di mostrare una direzione, si va sempre più riducendo, e insomma la società degli intellettuali è assai più ristretta che nei secoli in cui il pensiero disponeva di mezzi meno potenti come quelli d’oggi alla sua diffusione.

E mentre gli intellettuali paiono colpiti in sonno (almeno quelli da cui si possa trarre una interpretazione del nostro tempo), in Italia è accaduto un fatto molto strano: i manipolatori dell’informazione hanno reso ufficiale l’intellettualismo di un gruppo di irregolari, col rischio di veder finire la cultura come monopolio esclusivo di chi la esercita per diletto e ornamento.

Il rischio è che la cultura nelle mani incerte di giullari o saltimbanchi perda la sua universale utilità e diventi arma di combattimento e cattiva educazione. Fenomeni di questo genere si riproducono ogni volta che la politica è in crisi e impegna tutte le forze della società per salvarla da una grave malattia. E noi avremmo chiamato a salvare la nostra cultura Benigni e Celentano, Saviano.

E’ anche capitato, cosa ancor più grave, d’aver proposto (sotto gli auspici di un certo Governo), per poi vederlo assegnare, il Nobel alla Letteratura (pensate che lo stesso attestato fu riconosciuto a Pirandello nel 1934) a Dario Fò quale campione di cultura e d’intelletto italiano. Pensate che equivoco! E il dramma della cultura italiana, io penso, cominciò proprio da qui …. per non aver compreso che l’intellettuale è un segno dei tempi, un orientamento dell’intelligenza collettiva che attraverso il genio del singolo universalizza il pensiero di molti.

A nessuno è mai venuto in mente che questi personaggi, la cui fortuna gli deriva dall’aver stretto in mano il mestolo delle pubbliche emozioni, non sono che parolieri portati dal tempo e dalle stagioni. Ma il silenzio degli intellettuali porta a queste e altre gravi conseguenze. Il dilettantismo crede di farla franca in un ambiente che non chiede nulla alla cultura se non qualche pausa, un canzonetta e un sorso d’acqua. E se la civile opinione continuerà ad assoggettarsi a tali parlatori da palcoscenico finiremo col credere che la cultura sia uno spettacolo da oratorio o da fiera, con finti scrittori, finti poeti, finti letterati. L’incultura e il disprezzo della cultura, viene dagli stessi che si pretendono colti.

Dare l’idea d’una cultura asservita e spinta dall’ingranaggio di un palinsesto è un fenomeno che potremmo dire di “culturismo intellettuale”, e cioè il bisogno che hanno certi movimenti d’opinione di contraffare le emozioni per ridurle a qualche cosa di pronto e di immediatamente disponibile per l’uso.

Finirà lo spettacolo e l’istante breve della cultura scomparirà dietro un sipario. Si conteranno gli applausi e gli incassi del pubblico. Il comico toglie la sua maschera dietro cui ha raccontato il fatto suo, e mentre noi lo credemmo vero egli ha spezzettato un’altra verità per saziare l’ideologia della massa.

Il tempo, che dicono galantuomo, s’è fermato per non consegnare queste ore alla storia.

Intanto noi aspettiamo un altro giro ….. e pensare che fummo gli annunziatori della più viva intelligenza culturale.

Giuseppe Bombino

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Author: Cristina

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