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La storia si ripete da decenni in modo assolutamente stucchevole e, se non fosse per l’irritante supponenza di chi sente di dover sostenere l’opposto, in maniera comica. Anzi buffa. È la storia dei comunicati stampa e di chi, scrivendoli, è convinto che le testate a cui vengono inviati debbano assolutamente pubblicarli per intero. Cercare un filo di logica in questo ragionamento è impossibile. Anche perché di logica, in casi del genere, non c’è neppure l’ombra.
Non v’è dubbio alcuno: siamo pienamente immersi nell’era dei comunicati stampa. Chiunque proponga un’iniziativa, sente di dover sottolineare qualcosa, deve promuovere un evento o riepilogarne l’andamento, non esita un solo istante a redigerne uno. Finita l’opera, letto ed eventualmente corretto il contenuto, il passaggio successivo è rappresentato dall’invio dello stesso alle redazioni oppure ai corrispondenti (anche se spesso si tenta vanamente di scavalcarli cercando compiacenze o sfruttando antiche amicizie). Ma c’è dell’altro. Nel preoccuparsi si predisporsi il terreno in maniera tale che tutti, ma proprio tutti, gli organi di informazioni si uniformino al volere dell’estensore del comunicato stampa, alla fine del testo, non di rado, capita di imbattersi in calde raccomandazioni tipo: si chiede la pubblicazione integrale!
Secondo questa (il)logica, a chi redige l’articolo non tocca altro da fare che vestirsi da semplice passacarte ed eseguire una mera operazione di copia incolla. Magari accompagnata da un inchino e dalla riverenza da fare all’indirizzo del munifico benefattore che, sfoggiando un senso di altruismo encomiabile, oltreché invidiabile, sapientemente elargisce un articolo già bello e confezionato! Bah! Se le procedure ipotizzate dall’estensore vengono rispettate pedissequamente allora tutto va bene madama la marchesa. Diversamente la protesta si trasforma in rimostranze assurde o in lettere che, in cerca di giustizia, vengono inviate a chi dirige la testata. La solita solfa.
È bene ricordare a questo punto alcuni semplici dettami… di contesto. Prima cosa: se bussiamo a casa di qualcuno per chiedere ospitalità è buona norma (educazione) rispettare le regole di quella casa. Seconda cosa: da sempre, sono i redattori (ovvero i più alti in grado) a concordare con i corrispondenti spazi, inserimento di fotografie, titolo e in che parte del giornale eventualmente collocare l’articolo (ipotizzare congiure, ordite da chi neppure sa dove si trovi il paese e nemmeno conosce gli interessati, è pura fantasia). Terza cosa: la consistenza di un problema può essere notevole per chi quel problema lo vive, ma non è sicuramente la stessa cosa per coloro che quel problema (o quell’argomento) devono trattarlo giornalisticamente. Si pensi, ad esempio, alla penuria d’acqua. Ogni estate le stesse criticità, gli stessi disagi e via di seguito, rendono impossibile la vita alle persone. Ma la situazione purtroppo non è limitata ad un solo comune bensì è generalizzata su scala regionale. Ergo: se la testata giornalistica dovesse dare ampio spazio a tutti si ritroverebbe con un numero intero dedicato ad un unico argomento. Cosa evidentemente impossibile.
E allora non resta che rimarcare un aspetto fondamentale dell’agire giornalistico: i comunicati stampa non sono vangelo, ma semplici spunti di notizie, di cui il redattore dell’articolo potrà, se lo ritiene opportuno, tenere conto. Se per scelta editoriale (assolutamente rispettabile e comprensibile) un sito o un giornale decidono di pubblicarli integralmente, non si può né si deve esigere che tutti facciano altrettanto.
Pretendere che la verità di parte che viene raccontata nelle note stampa diventi verità assoluta è assurdo, per non dire vergognoso. E per questo inaccettabile.
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