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L’atteggiamento di Bersani, che insegue, senza vergogna apparente, un giullare che lo respinge inondandolo sistematicamente di ingiurie e contumelie varie, e che rifiuta ogni ipotesi di possibile accordo con il PdL, unico partito in grado di garantire la formazione di un Governo capace di poter affrontare da subito i gravi problemi del Paese, viene scambiato per un’assurda miopia o per un incredibile masochismo.
Il persistere fino alla noia, e fino ad oggi, prima di chiudere le ‘consultazioni’ e potersi recare da Napolitano, fanno pensare ad altro. Si scherzi, infatti, quanto si vuole sul pettinamento delle bambole o sullo smacchiamento dei giaguari, ma l’uomo politico che attualmente dirige il PD, non sembra né miope né masochista. Egli punta a perdere tempo, e gli incontri con i sindacati, o con personaggi in cerca d’autore come don Ciotti o costruiti in vitro come Saviano, lo dimostrano, il tutto finalizzato a far scorrere le poche settimane della presidenza Napolitano, che non può sciogliere il Parlamento per disposizione costituzionale e ottenere, quindi, nuove elezioni dal nuovo inquilino del Colle.
Il motivo è presto detto. Anzi i motivi sono due, e tutte e due sono legati a problemi interni al PD. Il primo è quello di non rompere, anzi, di assecondare le spinte avventuristiche dei cosiddetti ‘giovani turchi’ che stanno condizionando, e non poco, le scelte politiche del principale partito della sinistra, che senza di essi la leaderchip dello smacchiatore sarebbe stata abbastanza in forse. Essi sono schierati contro Renzi perché lo considerano il loro vero antagonista e sono contro qualsiasi ipotesi di accordo con il PdL che limiterebbe sensibilmente la loro sete di potere. Bersani non ha alternative. O sta con loro o rimane solo con Rosy Bindi e Franceschini.
Il secondo obiettivo, che con i ritardi il nostro Bersani vorrebbe cogliere, è quello di evitare che eventuali elezioni anticipate lo possano costringere a rifare le primarie con i rischi che possa, stavolta, prevalere la candidatura del sindaco di Firenze. Esclude, quindi, qualsiasi ipotesi di un loro slittamento in autunno o addirittura al prossimo anno e rifiuta di ragionare su ipotesi, per dirla alla Monti, di ‘ripresa Italia’.
Un governissimo, infatti, non può non porsi obiettivi che seppur chiari e semplici hanno bisogno di tempo per essere enucleati, valutati ed approvati. Non basta, infatti, elencarli ma per renderli realizzabili ed accettabili dalle diverse forze, legate da un patto di scopo, hanno bisogno del tempo necessario. Minimo quanto si vuole, ma sufficiente a poterli affrontare. Emergenze sociali, riduzione della pressione fiscale, ripresa economica per porre un freno alla recessione e, poi, varo di una nuova legge elettorale con una diversa impalcatura costituzionale dello Stato, e con la drastica riduzione dei costi della politica.
Senza questa base minima si rischia di non ridurre la platea della protesta e dell’astensionismo, che non saranno domati né ridotti da un ricorso alle urne senza alcun provvedimento innovativo. E quà casca l’asino perché la lotta interna al PD ha in realtà fatto smarrire la posta in gioco che va oltre gli interessi dei singoli partiti e dei singoli dirigenti. Non ci si trova in una situazione normale, ma siamo in piena emergenza democratica con i rischi che detta emergenza può provocare.
Pensare che si può forzare la mano perché poi si è, comunque, in grado di controllare il mostro, che circola nel Paese, perché magari con alcuni di loro si ha un cordone ombelicale molto stretto, e per questo si pensa d’essere capaci di metterlo in condizioni di non nuocere, è una pia illusione. Si rischia, e questo Bersani non dovrebbe sottovalutarlo, di ottenere magari la riuscita dell’operazione mentre l’ammalato muore. Bersani non sarà miope o masochista ma, se ciò dovesse avvenire, è chiaro che scatterebbe non il dubbio, ma la certezza, sulle sue capacità di analisi.
Giovanni ALVARO
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