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di Francesco A. Cuteri *
A ripensare, anche per uno solo istante, allo stato d’animo in cui si dovettero trovare gli Ebrei nel momento in cui in tutto il Viceregno, di paese in paese e di contrada in contrada, si diffuse la notizia della loro imminente espulsione, non si può che provare un senso di disorientamento, di paura e disperazione.
Era il 1541 e, per volere di Carlo V s’interrompeva, d’autorità e seppur senza altre pretese, come era successo in Sicilia al tempo di Ferdinando il Cattolico quando gli Ebrei furono costretti a pagare pesanti tributi, una storia più che millenaria che aveva avuto inizio con le prime frequentazioni giudaiche, soprattutto nell’area di Reggio, tra l’età romana e la tarda antichità.
Di questa lunga presenza si conservano ancora oggi in Calabria poche ma importanti testimonianze. Infatti, oltre a quanto lentamente sta emergendo attraverso l’analisi, ad opera di specialisti del settore, della documentazione archivistica e archeologica, alcuni toponimi che, se compiutamente analizzati e spiegati, potranno aprire importanti spiragli su questa significativa pagina della nostra storia: Judeca, Judea, Giudecca, Iudeo, etc.
Per quel che riguarda l’età medievale, se si esclude quanto riportato da una cronaca, forse composta a Cassano Jonio, che ricorda la forzata conversione al cristianesimo dei giudei presenti nei territori bizantini dell’Italia meridionale in seguito alla campagne di proselitismo promossa nell’874 da Basilio il Macedone, ben poco conosciamo della storia degli Ebrei in Calabria fra la tarda antichità ed il X secolo. A partire da quest’ultimo periodo, invece, quella dei giudei appare come una realtà ben integrata nel contesto storico-culturale regionale e il sentimento di antisemitismo spesse volte richiamato appare, come ha precisato Cesare Colafemmina, eminente studiose delle realtà ebraiche dell’Italia meridionale, “più un prodotto di cultura ecclesiastica che un fatto spontaneo”.
E’ noto, infatti, che in Calabria l’avversione nei confronti dei giudei era sostanzialmente alimentata dalla tradizione teologica bizantina e lo stesso San Nilo riteneva, in merito a questioni di giustizia, che ci sarebbero voluti sette ebrei per eguagliare un cristiano; gli Ebrei, inoltre, erano considerati “miserabili”, senza religione” e “uccisori di Dio”.
I primi dati sulla presenza ebraica nel X secolo di cui disponiamo sono relativi alla città di Rossano e, nello specifico, si riferiscono a Donnolo Shabbetai, medico nativo di Oria, in Puglia, considerato una delle più grandi e ricche personalità del mondo giudeo-bizantino del tempo. A lui si deve la composizione, nel 970, del Libro delle Misture (Sefer Mirqahot), il più antico trattato di medicina dell’Occidente medievale, dove è anche documentata la particolare bontà del miele calabrese prodotto a Mirto.
Altre notizie sugli ebrei di Calabria compaiono nell’XI secolo quando viene ricordato, in una raccolta di poesie del poeta ebreo Anatoli di Marsiglia, Mosè, hazan e cioè cantore della Sinagoga di Reggio.
Per l’età pienamente normanna è stato recentemente attribuito a Rossano, ed in particolare al cantore della sua sinagoga, mentre prima era riferito ad uno scrittore russo, un commento alla Torah ritenuto di grande interesse in quanto presenta termini greci traslitterati in ebraico ed anche parole in volgare, il calabrese del tempo, sempre scritte in ebraico.
Questo commento, scritto anteriormente al Pantateuco di Rashì del 1040-1105, verrà poi stampato a Reggio nel 1475, in un’edizione che rappresenta il primo libro ebraico fornito di data che si conosca.
Altre indicazioni compaiono successivamente negli scritti di Gioacchino da Fiore, autore anche di un trattato dedicato ai Giudei con l’intento di convertirli: Adversus Iudeos.
A partire dall’età angioina, e per tutta l’età aragonese, la documentazione disponibile per ricostruire la storia degli ebrei nella nostra regione è di gran lunga più numerosa e consente, grazie soprattutto ai registri delle tasse, di conoscere in maniera più dettagliata non solo le comunità in cui i giudei si erano insediati ma anche le loro attività economiche e commerciali.
Tra i principali centri ricordati troviamo Monteleone (ora Vibo V.), Nicotera, Reggio, Seminara, Gerace, Placanica, Crotone, Castelvetere (ora Caulonia) e Oppido, mentre, per quanto riguarda
i principali mestieri esercitati i documenti ricordano: medici e speziali; mercanti di tessuti, abiti, pettini e gioielli; tintori di panni; banchieri; commercianti di zafferano, olio, frumento e bestiame; orafi e, infine, maestri nell’arte scrittoria, coltivata non solo per finalità religiose e spirituali ma anche scientifiche.
Dopo le alterne vicende che caratterizzarono l’età aragonese, una prima cacciata degli Ebrei dal Regno di Napoli ci fu nel 1510-11 e dopo questo atto la Calabria meridionale venne del tutto privata di questa presenza; l’espulsione definitiva avvenne, come già ricordato, nel 1541.
A distanza di quasi cinque secoli, cosa rimane oggi in Calabria di questa straordinaria esperienza di vita, di religione, di cultura?
Concludiamo utilizzando, ancora una volta, le parole di Colafemmina: “Ci rimangono dei manoscritti copiati a Reggio, Cosenza, Catanzaro, Crotone, Strongoli nei secoli XV-XVI; ci rimangono alcune epigrafi, come la lastrina di Reggio, la lucerna di Capo d’Armi, alcuni frammenti di terracotta con stampigliata la menorah; un’iscrizione ebraica del 1440-41 incisa su un mattone a Strongoli, un altro frammento di iscrizione datata 1475-76 a Crotone…”.
Ci rimangono, infine, l’importantissima Sinagoga di Bova Marina, unica nel Mezzogiorno e la consapevolezza che, in questo ambito, la strada da compiere è ancora lunga, complessa e, per molti versi, essenziale.
*Archeologo medievista, Università Mediterranea, Reggio C.
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