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Vi sono “infrastrutture culturali” che, per potenza e riconoscibilità, risultano più durature di quelle materiali. Le prime, infatti, sono capaci di trasformare il “temporaneo” interesse sociale nei confronti di un luogo (spesso influenzato da mode, curiosità, correnti di pensiero effimere, ecc.) in un “permanente” riferimento culturale, a patto che quel luogo non subisca una alterazione della propria capacità di comunicazione.
L’interesse sociale si invera solo quando il sistema fisico e il corpo socio-culturale che lo rappresenta costituiscono, insieme, un elemento caratterizzante. Il tempo di questo interesse dipende dalla durata del legame tra il sistema fisico (la città) e il corpo sociale (l’uomo). Spesso, l’uno o l’altro si deformano o creano separazioni. Quando ciò accade, il luogo, pur mantenendo i propri connotati fisici, perde la prerogativa di esprimere “identità” e, d’altra parte, il corpo sociale perde la capacità di identificarsi in esso.
Nel caso di Reggio, per meglio intenderci, la “stagionalità” con cui la popolazione vive il mare, genera una pericolosa “sfasatura”: il sistema fisico, cioè, pur mantenendo il suo carattere permanente (il paesaggio/interfaccia città-mare) non attrae stabilmente il corpo sociale che lo frequenta; ne consegue l’instaurarsi di una dialettica intermittente, “culturalmente” debole e inefficace.
Una soluzione utile alla estensione temporale del rapporto tra luogo e popolazione può essere conseguita attraverso una infrastrutturazione fisico-culturale che, interpretando il segno della metamorfosi della nostra città, si proponga come luogo del dialogo e come sintesi universale tra Reggio e il mare (sistema fisico) e tra questi e l’uomo (corpo sociale).
E l’idea del Water Front muove proprio in questa direzione. Si è intuito, insomma, che occorreva massimizzare la presenza dei legami associativi tra lo spazio e il tempo (nelle sue declinazioni passato, presente e futuro) attraverso la messa a sistema delle infrastrutture materiali (luogo fisico) e immateriali (cultura e storia).
Il Water Front, il Centro Polifunzionale e il Museo del Mediterraneo sono senza ombra di dubbio le componenti materiali in grado di elevarsi a simbolo di “luoghi di cultura” all’interno di un quadro simbolicamente ancor più potente quale è lo Stretto.
E’ una forma di bene comune, l’idea del Water Front, che esalta l’atto d’una ricercata alleanza tra la città e il mare, e che viene a concretizzarsi intorno al suo più alto e formidabile strumento di comunicazione: la modernità del linguaggio architettonico attraverso cui diffondere identità e cultura nel mondo.
Il nostro orizzonte più prossimo è il mare …. E in questo orizzonte si attua e si compie la nostra storia. I nostri amministratori lo hanno compreso!
E’ questo, e non altro, l’ufficio civilizzatore e ordinatore dell’attività politica; mostrare, cioè, malgrado il suo compito amministrativo, il primato dell’interesse collettivo attraverso lo spirito e l’estetica di un progetto pensato per le generazioni, di un’azione che diviene documento verso cui orientare soluzioni che nessuno, prima di allora, aveva intravisto.
Se noi, adesso, guardiamo a quell’orizzonte e mettiamo nei giorni nostri gli occhi dei nostri figli, allora il miracolo sarà compiuto ….. li scopriremo più grandi di noi che li abbiamo messi al mondo.
Se guarderemo in basso, invece, per cercare le accidenze del terreno, li abitueremo ad andare in guerra …., perché è quando si combatte che si cerca il nemico tra gli anfratti e nei cunicoli sotterranei.
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1 thought on “Giuseppe Bombino sul Water Front di Reggio Calabria: “Un esempio di infrastrutturazione culturale””