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Il recente tour del sobrio Presidente del Consiglio, sen. Mario Monti, in Estremo Oriente, è stato fatto, così come riferiscono gli zerbini mediatici, per tranquillizzare i mercati asiatici sulla ‘salute’ del nostro Paese e, quindi, sulle possibilità che esso offrirebbe a chi vuol investire. Il Presidente del Consiglio, pensando d’essere più furbo dei suoi interlocutori, ha voluto ricordare che non aver acquistato titoli italiani, nel novembre scorso, ha comportato, per essi, un mancato guadagno a cui si potrebbe ovviare approfittando ancora oggi dei margini di ‘speculazione’ che il nostro spread offre.
Tutti ricordano infatti le dichiarazioni rese dal Sobrio Tecnico in Giappone che, sicuramente, erano rivolte alla Cina dato che essa, alcuni mesi addietro (prima comunque dell’avvento dell’era sobria), ‘sollecitata’ a comprare parte del debito italiano, ha fatto sapere attraverso la China Investment Corporation (uno dei più grandi fondi sovrani della Cina che ha già in portafoglio il 4% dei titoli di Stato italiani) che non era per nulla interessata.
Al contrario la Cinapreferiva, come ha fatto sapere l’allora Ministro Matteoli presente ad uno degli incontri con la delegazione cinese, investire in Italia magari finanziando il Ponte sullo Stretto e altre infrastrutture trasportistiche. E allora a che cosa poteva servire ricordare ad un Paese comela Cina, che cresce annualmente con incrementi a due cifre, che avrebbe perso, nel non aver investito nel debito italiano, qualche ‘spicciolo’, se non a recitare la parte del classico mercante che, al seguito dei colonialisti dei secoli passati, ha sempre cercato di soggiogare gli indigeni con vetrini colorati che, nel nostro caso, sono gli interessi sui titoli di Stato.
A parte il fatto che i cinesi, neanche alla lontana paragonabili a indigeni colonizzati o colonizzabili, non si impressionano per nulla di vetrini colorati, va detto che conoscono benissimo la realtà del nostro Paese, forse meglio e più di tanti ‘tecnici’, e conoscono altrettanto bene la sua solidità economica e patrimoniale che non può venir messa in discussione per uno spread altalenante che risponde solo, e sottolineo solo, alle sollecitazioni del mercato dove operano speculatori di ogni risma tra i quali alcune banche franco-tedesche che vogliono mantenere in fibrillazione il nostro Paese.
Bisognava, invece, nell’interesse dell’Italia, riaprire il ragionamento sulla disponibilità cinese a finanziare opere pubbliche, come il Ponte sullo Stretto, e rilanciare così la crescita senza tartassare ulteriormente i contribuenti. Tutti sanno benissimo che l’impegno finanziario per la costruzione del Ponte prevede una quota di finanziamento a carico pubblico, già deciso e stanziato da tempo, pari al 40% tra fondi Cipe (1.300,00 milioni) e fondi a carico della SpA Stretto di Messina pari a 1.200,00 milioni, mentre il resto va reperito sul mercato finanziario internazionale con il sistema del project financing.
Bisognava riaprire la discussione perché il Ponte è un’occasione da non perdere per poter invertire la tendenza alla recessione e correggere il divario Nord-Sud. Interesse immediato e interesse in prospettiva. L’apertura di cantieri di lavoro per l’infrastrutturazione del Paese, infatti, blocca oggi la recessione e aiuta la crescita e la ricerca, e non risponde solo a problemi occupazionali. Le grandi opere, e fra essa il Ponte, riducono il gap in materia infrastrutturale col Nord, determinano nuovi scenari trasportistici, ed aprono a nuovi elementi di sviluppo per l’intero Mezzogiorno.
E’ indubbio, infatti, che con il Ponte (anello fondamentale del TEN-T corridoio 1) si determina la scelta dell’Alta Velocità tra Salerno e Reggio/Palermo. Alta Velocità riferita ai percorsi ferroviari, principalmente per il trasporto dei container, ma, indubbiamente, utilizzabile per ridurre anche i tempi del trasporto viaggiatori. Questa è una di quelle grandi sfide che servono all’Italia, altro che contentarsi dell’effimero abbassamento dello spread che il giorno dopo è di nuovo nella tempesta.
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