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Incredibile la motivazione che il ministro tecnico Passera ha dato a quella che sembra la fine non tanto di un sogno ma di una speranza, quella di vedere un’alba nuova per il Mezzogiorno e soprattutto per le due regioni meridionali, Calabria e Sicilia, che potevano, con una infrastruttura indispensabile al corridoio 1 e con esso alla stessa economia nazionale, liberarsi totalmente dell’isolamento che patiscono da decenni. Ma i becchini del governo dopo aver massacrato il Paese con una recessione terrificante hanno voluto completare l’opera demolitrice.
Passera a nome dell’intero governo ha addebitato la fine del Ponte alla mancata disponibilità dell’Eurolink a siglare un atto aggiuntivo con il quale si formalizzava la rinuncia alla penale prevista dal contratto d’appalto. La sola ipotesi della cancellazione però aveva provocato le legittime proteste del governo spagnolo che si è mosso nell’interesse delle aziende iberiche. La richiesta del governo e di Passera era, comunque, assurda e non poteva essere accolta perché l’Eurolink diventava automaticamente il soggetto responsabile del danno provocato a tutte le imprese facenti parte del Consorzio.
La scelta del Governo puntava a trasformare l’Eurolink da vittima a carnefice delle imprese coinvolte nell’appalto e non chiude, come grandi tromboni hanno annunciato, la vicenda che avrà senz’altro sviluppi giudiziari nazionali e internazionali. Nazionali perché la Corte dei Conti che dovrà vigilare sulle spese non potrà far passare tranquillamente lo sperpero di oltre 1,3 miliardi (Corte che se sarà sonnacchiosa sarà svegliata dai ricorsi dei cittadini e da Enti locali sensibili all’infrastruttura pontistica) ma sarà costretta a imputare l’addebito a chi ha causato lo sperpero stesso, ossia ai signori tecnici che non sono, sul piano finanziario, dei nullatenenti.
Sul piano internazionale, come minimo, si avrà l’inaffidabilità del nostro Paese che, con l’atto di messa in discussione di un appalto già formalizzato, determinerà la scelta di moltissime imprese di livello internazionale, a non partecipare a gare d’appalto in Italia per grandi opere. Un danno d’immagine non quantificabile finanziariamente ma di elevato livello. Un Paese che, sul terreno delle costruzioni è all’avanguardia nel mondo, ridotto a luogo da evitare senza ulteriori prove d’appello.
Ma il danno grave, gravissimo, sarà quello di vedere usare altri terminali (soprattutto Spagna e Francia scelte dalla FerrMed) per collegare i mercati del Nord Europa con quelli che usano lo Stretto di Suez e provengono o vanno verso l’Estremo Oriente. Per lo scambio mercantile si usano oggi, in modo sempre più massiccio, i container che, trasportati con navi all’uopo attrezzate, eviteranno di accrescere il tempo di trasporto con la circumnavigazione della penisola iberica ma saranno scaricati in tutti i porti italiani per essere convogliati sulle direttrici ad alta velocità.
Senza ponte non esisterà l’alta velocità da Salerno a Reggio e, a maggior ragione, non esisteranno linee fino a Palermo o Catania. Il danno provocato dai becchini è veramente incommensurabile perché priverà l’Italia di un flusso trasportistico su rotaia con grandi benefici che avrebbe avuto il Paese sotto forma di costi di trasporti alle ferrovie, di occupazione e di liberazione delle autostrade dai pericolosi tir dispensatori di incidenti e di inquinamento ambientale.
C’è chi sorride ed esulta per la vicenda e magari parla di “Un ponte colpito e affondato” con una malcelata soddisfazione che fa letteralmente rabbia se a godere di una possibile cancellazione sono anche soggetti meridionali. Costoro dimostrano la propria pochezza e la propria inettitudine e sono, soprattutto, gli ascari di un potere prevaricatore e senza reale visione unitaria del Paese che continua a mantenere l’ex Regno delle Due Sicilie nello stato di degrado che il ponte poteva permettere di poter superare.
Giovanni ALVARO (Comitato Ponte Subito)
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