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Se affermiamo che il terzo settore ed in generale le politiche sociali ed assistenziali stanno vivendo un momento molto difficile non diciamo niente di nuovo perché ormai è una cosa nota a tutti, ma in questo scenario ciò che colpisce maggiormente è che nella nostra città non si parla mai di AIDS o almeno non ne sentiamo parlare. Sembra quasi che su questo termine sia calato il silenzio, tanto da far ritenere che forse non è più un problema.
E’ diffusa infatti, la credenza nell’opinione pubblica, specie tra i giovani, che esistono dei farmaci che guariscono dalla malattia, mentre invece i farmaci sono efficaci nel rallentare la malattia e vanno assunti sempre. I dati riportati dal Sistema di Sorveglianza del Ministero della Sanità indicano che nel 2010 sono stati diagnosticati 5,5 nuovi casi di Hiv positività ogni 100.000 residenti. L’incidenza è maggiore al centro-nord rispetto al sud-isole. L’incidenza è di 4,0 nuovi casi tra italiani residenti e 20,0 nuovi casi tra stranieri residenti.
Dopo il grande allarme degli anni ’80, e la psicosi di massa che ne è derivata, oggi sembra che il problema non interessi più ad alcuno. Eppure certamente si è risolto, anzi. Basta andare, infatti, in ospedale al reparto di Malattie infettive per constatare che anche se non se ne parla il fenomeno esiste. Il problema dell’AIDS non si risolve solo ed esclusivamente attraverso la costituzione di strutture di accoglienza che offrano alla persona rimasta sola la possibilità di sperimentare il calore e l’affetto di una famiglia ma, soprattutto, attraverso l’accompagnamento di coloro che sperimentano percorsi di convivenza con la malattia a volte drammatici.
Chiaramente non ci riferiamo solo alle difficoltà legate alle fatiche della malattia in senso medico, ma anche alle difficoltà sociali. Ancora oggi, infatti, le persone affette da HIV non si sentono integrate o meglio si sentono escluse, tanto da preferire di “non dire di essere affette dall’HIV/AIDS” vivendo così nell’ombra con la paura di essere scoperti e quindi emarginati dal circuito sociale. E poi ci sono le nuove povertà, che si affiancano alle vecchie, superandole: guardiamo ai nostri fratelli immigrati.
Nel 2010 quasi una persona su tre diagnosticate come Hiv positive è di nazionalità straniera. Purtroppo, molti di coloro che riescono ad approdare nelle nostre coste, scoprono di essere affetti dal virus, quando la malattia è già in corso ed a volte in stato avanzato. Spesso l’iter della scoperta è lungo e faticoso caratterizzato da segni di decadenza fisica evidente. A questo punto è facile immaginare quanto sia triste vivere una malattia come l’Aids da “straniero” in terra “straniera”. Non ci vuole molto per farsi un’idea, basta fare una visita nei nostri reparti di malattie infettive.
In questi giorni si celebra la giornata mondiale della lotta all’AIDS, e riteniamo non possa essere sufficiente affermare il nostro dispiacere cercando di suscitare negli altri lo stesso sentimento. Crediamo invece, fermamente, che anche in queste situazioni si possa fare qualcosa insieme per sensibilizzare i nostri territori facendoli diventare luoghi di solidarietà e accoglienza per tutti ed in particolare per coloro che affrontano ogni giorno tante fatiche da cui spesso sono schiacciati.
A Reggio Calabria la Casa Alloggio don Italo Calabrò dal 1995 cerca di essere un punto di riferimento per quanti affetti da questa malattia, si trovano da soli ad affrontare le problematiche dell’Aids. Una comunità che, tra mille difficoltà, continua il suo lavoro ormai da anni senza contributi pubblici, nell’indifferenza delle Istituzioni e nel silenzio della società civile, sostenuta solo dalla Piccola Opera Papa Giovanni, dalla Caritas Diocesana e dalle Suore di Maria Bambina.La casa è un luogo dove ogni persona cerca di riattivare le e proprie risorse, circondata dall’affetto e dall’ umanità di tutti coloro che vi abitano.
La crisi della nostra città, le difficoltà del terzo settore, si sentono e si avvertono anche qui, ma nell’essenzialità delle relazioni che in questo luogo significativo si generano, non si smarrisce la speranza per l’affermazione dei diritti di cittadinanza di ogni persona.
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